3 aprile 
L'ALMANACCO PULP dei Mutzhi Mambo 
Vabbé, oggi potremmo pure non scrivere niente che faremmo più bella figura. Come si fa a parlare degli Dei? Perché MARLON BRANDO, cari amici dei Mutzhi Mambo, non era un uomo, era un Dio, e di un Dio è meglio parlar poco, non si sa mai... Come Elvis, come Marylin, Brando era un mito, una leggenda, un essere superiore, a prescindere dal merito di ciò che faceva. Aveva un carisma tale che se faceva un film bello, la gente diceva: "Ah, il film bello di Marlon Brando"; se invece il film era brutto, la gente diceva: "Ah, il film brutto di Marlon Brando!". Era un genere a sé, completamente scollegato da criteri di valutazione umana. Era semplicemente (!?) Marlon Brando. Bello veramente come un Dio, non ha celato al mondo la Sua decadenza, il Suo disfarsi: come un Ritratto di Dorian Gray, come un Cristo, ha assunto su sé i mali di Hollywood e, con l'Olocausto della Sua bellezza, ne ha mostrato il lato oscuro, marcio, malato, delirante. Marlon Brando, Jr. naque a Omaha, in Nebraska, il 3 aprile del 1924. Unico figlio maschio di un rappresentante di materiali edili e di un'attrice di filodrammatica, morta nel 1954 e alla quale il nostro Marlon era legato in modo morboso, prima di fare l'attore aveva tentato la carriera nell'esercito ma fu espulso dall'Accademia militare di Shattuck nel Minnesota. Possedeva però ben altre doti e, fin da bambino, aveva coltivato una straordinaria abilità nell'assorbire e riprodurre tic e manierismi delle persone che lo circondavano. Un attore nato. Cruciale fu, quindi, l'incontro con l'Actor's Studio di Lee Strasberg e Stella Adler a New York, nel quale il giovane apprese e fece proprio il metodo di recitazione drammatica sviluppato dal teorico e attore Constantin Stanislavskij. Un metodo che prevedeva la totale identificazione con le motivazioni e con le sensazioni del personaggio, attraverso il ricorso dell'attore alla propria memoria emotiva, alle proprie esperienze passate e alle più intime pulsioni. Tra i suoi compagni di studi vi erano Harry Belafonte, Shelley Winters e Rod Steiger. Al di là delle innumerevoli relazioni (tre mogli e un numero imprecisato di amanti e figli) e delle tragedie personali e familiari che lo hanno piegato nel corso della vita (una prima moglie schizofrenica, l'uccisione, da parte del figlio Christian, del compagno della sorellastra Cheyenne e il suicidio della ragazza a soli 25 anni), Brando ha rappresentato un modello per intere generazioni di interpreti, grazie al suo talento infinito e alla sua capacità istintiva di dar corpo e anima a uomini complessi e tormentati. Brando attirò l'attenzione degli addetti ai lavori grazie ai saggi degli allievi della Scuola d'arte drammatica e ad alcune interpretazioni a Broadway, come "Candida" di George Bernard Shaw e "Un tram chiamato desiderio" di Tennessee Williams, oggetto anni più tardi del celebre adattamento cinematografico firmato da Elia Kazan e interpretato dallo stesso Brando. La prima grande passione dell'attore fu infatti il teatro, tanto che pensò a lungo che fosse quello il suo futuro, sul palcoscenico, intervallato solo sporadicamente dall'attività cinematografica. Dopo il folgorante debutto come paraplegico reduce di guerra in "Uomini" (1950), di Fred Zinnemann, Marlon Brando fu catapultato di diritto tra le stelle di Hollywood proprio grazie al ruolo di Stanley Kowalsky in "Un tram chiamato desiderio" (1951), dove recitò al fianco di Vivien Leigh. Capace di esprimere volgarità, rudezza e sadismo, ma anche anticonformismo e passionalità, Brando seppe imporre lo stile del suo personaggio - jeans e maglietta bianca - al resto del mondo; lo stesso avvenne per il giubbotto di pelle de "Il selvaggio" (1954), di Laszlo Benedek, pellicola che definì il look del perfetto Teddy Boy e contribuì a diffondere l'immagine di Marlon Brando come simbolo di una generazione insofferente e disillusa. La sua interpretazione di Kowalsky gli fruttò la prima nomination all'Oscar della sua carriera, seguita negli anni successivi da quella per "Viva Zapata!" (1952), di Elia Kazan, per "Giulio Cesare" (1953), di Joseph L. Mankiewicz, dove gigioneggia nei panni di Marcantonio, e per "Fronte del porto" (1954), sempre di Kazan, per il quale vinse l'ambita statuetta come migliore attore protagonista. L'amaro personaggio di Terry Malloy in "Fronte del porto", ex pugile fallito il cui fratello fa carriera spalleggiando il boss del sindacato portuale, consacrò l'attore come un vero e proprio mito internazionale. La sua imponente e magnetica fisicità, unita a una sensibilità non comune, gli permisero infatti di improvvisare e di caratterizzare, anche con un piccolo gesto o movimento, qualsiasi ruolo, indipendentemente dalla fortuna più o meno alterna dei suoi film. Sul finire degli anni cinquanta e per tutti gli anni sessanta, la carriera di Marlon Brando subì una decisa flessione: un film come il musical "Bulli e pupe" (1955), di Joseph L. Mankiewicz, fu proprio voluto da Brando per vivere un momento di disimpegno anche sul set. "La casa da tè alla luna d'agosto" (1956), di D. Mann, "I giovani leoni" (1958), di E. Dmytryk e "Pelle di serpente" (1959), di Sidney Lumet, ancora basato su un dramma di Tennessee Williams e interpretato a fianco della nostra Anna Magnani, al botteghino non andarono affatto bene. Visto che, per trasporre sullo schermo un romanzo di cui deteneva i diritti, non gli andavano troppo a genio né Stanley Kubrick, né Sam Peckinpah (mah...), Brando sperimentò persino in prima persona la sua prima e unica regia sul set del western "I due volti della vendetta" (1960), che affrontò con la consueta visione personale e originale ma senza alcun successo commerciale. Nel film "Gli ammutinati del Bounty" (1962), nel ruolo del leggendario primo ufficiale Fletcher Christian, Brando si dimostrò una volta di più interprete dallo stile cupo e istrionico: ma, pur avendo avuto un buon riscontro commerciale, la produzione dette colpa alle intemperanze dell'attore (che aveva percepito un cachet stratosferico, circa il triplo di quanto si beccava Robert Mitchum) se il film non aveva soddisfatto appieno le aspettative. La sua fama di interprete difficile e irrequieto si sparse a macchia d'olio, facendo precipitosamente calare le sue quotazioni a Hollywood. Nessuno voleva più lavorare con Brando: leggendari i suoi litigi sul set di "Quiemada" (1969) col regista Gillo Pontecorvo, che rimase talmente infastidito dall'attore americano da disconoscere la paternità del film! La rinascita, negli anni Settanta, coincise con l'inizio della collaborazione artistica con l'allora emergente Francis Ford Coppola. Il regista rimase folgorato dal provino di Marlon Brando, il quale mise a punto - da solo - uno speciale trucco per incarnare alla perfezione il personaggio di Don Vito Corleone, il boss della famiglia mafiosa protagonista de "Il padrino" del 1972: capelli tenuti indietro con la brillantina, sfumature di lucido da scarpe su zigomi e fronte, guance imbottite di fazzoletti di carta. Brando riuscì nuovamente a stupire critica e pubblico con la sua performance sublime, che gli consentì di guadagnare il secondo Oscar della sua carriera, che peraltro non ritirò, mandando al suo posto una giovane attrice Sioux: un atto di protesta contro la politica del governo statunitense nei confronti degli indiani d'America. Sempre nel 1972, Brando fu protagonista di un altro capolavoro (per quanto pallosissimo) della storia del cinema mondiale, coinvolto in un vortice di scandali e roventi polemiche a causa delle esplicite scene sessuali: "Ultimo tango a Parigi" di Bernardo Bertolucci, nel quale l'attore interpreta un americano sradicato in Francia, un vedovo di mezza età dalla vita intensa e drammatica che incontra una giovanissima attricetta, interpretata da Maria Schneider, che rimase a lungo traumatizzata dalla parte. Fu, per Brando, la prova più sentita ed emotiva, dove, rinunciando ad ogni pudore, si mise in gioco completamente, pur di rappresentare al meglio la solitudine e la disperazione del personaggio. Nello stesso anno recitò nell'ottimo thriller "Improvvisamente, un uomo nella notte", di Michael Winner, grazie al quale ottenne una nomination ai premi BAFTA. Dopo quattro anni di assenza dallo schermo, nel 1976 Brando interpretò assieme a Jack Nicholson il film "Missouri", un western un po' sui generis, che si rivelò un discreto successo all'estero, ma venne accolto freddamente in patria e ottenne incassi scarsini. Del 1979 è la sua magistrale e inquietante apparizione in "Apocalypse Now" (1979), capolavoro di Francis Ford Coppola, nel leggendario ruolo di Kurz (personaggio letterario del "Cuore di tenebra" di Conrad), colonnello che diventa un disertore creando in Cambogia un proprio regno esclusivo. Il suo Kurtz non è più un uomo, è la personificazione stessa del male radicale, neutro, della necessità del male nel ciclo naturale. L'anno successivo divenne il protagonista del mediocre thriller "La Formula", di John G. Avildsen, ma l'inesorabile declino fisico e attoriale di Brando risultava ormai inarrestabile. Ormai si riservava principalmente piccoli "camei" strapagati, come quello di Jor-El, padre di Superman, nell'omonimo film del 1978, diretto da Richard Donner, o per film minori e indegni della sua fama degli anni ottanta e novanta, come "Il Boss e la matricola" (1990), di Andrew Bergman e "L'isola perduta" (1997), di John Frankenheimer, il terzo adattamento cinematografico tratto dal romanzo fantascientifico "L'isola del dottor Moreau" di Herbert George Wells del 1895. A seguito del suicidio della figlia Cheyenne del 1995, Brando si era completamente lasciato andare, arrivando a pesare qualcosa come 160 Kg: i giornali scandalistici facevano a gara nel pubblicare le sue foto più recenti, mettendolo spietatamente a confronto con le immagini dei tempi d'oro. Non che al nostro Brando gliene fregasse qualcosa. Negli ultimi anni strinse un forte legame di amicizia col nuovo "ribelle" della scena hollywoodiana, Johnny Depp: conosciuto sul set di "Don Juan De Marco maestro d'amore" (1995), di Jeremy Leven, Brando ha poi accettato di partecipare (dietro lautissimo compenso), alla prima fatica da regista del giovane attore, "Il Coraggioso" (1997), una visionaria e, a suo modo, interessante (anche se un po' pretenziosa) pellicola incentrata sul mondo degli "snuff movie", dove i protagonisti sono torturati e uccisi davanti alla macchina da presa. La sua ultima interpretazione è nell'heist movie "The Score" (2001), di Frank Oz, al fianco di Robert De Niro e Edward Norton. Il grande attore si è spento a Los Angeles il 2 luglio 2004, per alcune complicazioni legate ad un enfisema polmonare. Il cielo si è oscurato, il tempo si è fermato e le maree hanno cessato di fluire... Succede così quando muore un Dio!

"Noi addestriamo dei giovani a scaricare Napalm sulla gente, ma i loro comandanti non gli permettono di scrivere "cazzo" sui loro aerei perché è osceno."
Colonnello Kurtz/Marlon Brando - Apocalypse Now

Marlon Brando