15 febbraio 
L'ALMANACCO PULP dei Mutzhi Mambo 
I bambini di oggi crescono con quegli orribili media franchise tipo "Pokemon", "Ben 10", "Yu Gi Oh!". Se tanto tanto sono appassionati di botte animate e di arti marziali, al massimo ci sono le "Teenage Mutant Ninja Turtles" o l'ennesima serie di "Dragonball". Ma, cari amici dei Mutzhi Mambo, chi è cresciuto fra la metà degli anni '70 e l'inizio degli '80 si è beccato un'ondata di violenza senza precedenti! E non è retorica: anche rivisti con l'occhio contemporaneo rimane intatta la carica iperviolenta e allucinata di quei cartoni. A partire dai robot di Go Nagai ("Goldrake", "Jeeg", ecc.) e "Lupin III", passando per "Ben Il Mostro Umano" e "L'Uomo Tigre", e continuando con "Rocky Joe, "Judo Boy" e "Forza Sugar", le serie animate giapponesi non lesinavano certo di mostrare situazioni pese e atrocità varie. E le più trucide di tutte erano le serie ninja di SAMPEI SHIRATO, roba veramente ma veramente pulp! A ripensarci, viene da chiedersi come hanno fatto a passare il vaglio della censura, visto che "L'invincibile Ninja Kamui" era oggettivamente forte, cinico, troppo violento e tetro per i bambini! Infatti sono passate poco per la TV e per un breve periodo ma chi le vide rimase segnato... Autore a suo modo elegante e raffinato, Sampei Shirato può essere considerato uno dei maggiori maestri del dopoguerra assieme a Osamu Tezuka, Go Nagai, Leiji Matsumoto e Shotaro Ishinomori. La produzione di Shirato è davvero sterminata, contando che moltissime sono le storie brevi accanto a quelle di più ampio respiro. Lo stile, influenzato dalla pittura del padre, risulta diverso dal quello del maggiore autore a lui contemporaneo, ovvero Osamu Tezuka, che aveva un modo di disegnare ancora "disneyano", ovvero pulito e tondeggiante. Shirato invece si riconosce proprio dal tratto ruvido e adulto, apparentemente grezzo ma conforme alle tematiche trattate. Parola d'ordine: dinamicità! Le sue tavole e il suo tratto agile - forse grazie all'esperienza accumulata con la pratica del kamishibai - creano spesso l'illusione cinetica. Scenari ariosi e corpi plastici contribuiscono non poco a rendere perfettamente l'idea del movimento, come pochi altri autori sono in grado di fare. Inquadrature vorticose e veloci degne di Miller (e siamo negli anni '60!), scene pulp degne di Tarantino, teste mozzate, braccia che saltano, schizzi di sangue ovunque. Purtroppo però quasi tutto ciò che il maestro ha realizzato è misconosciuto al di fuori dei confini del Giappone, e questo vale soprattutto per il mondo occidentale, Italia compresa. Noboru Okamoto (cosi all'anagrafe) è nato a Tokyo, il 15 febbraio del 1932. Figlio del pittore Otamoko Toki, inizia la carriera artistica molto presto, appena terminata l'istruzione media. La sua prima attività è quella di disegnatore neil kamishibai, una specie di teatrino di strada che prevedeva la realizzazioni di disegni su fogli di carta spessi che accompagnavano il racconto orale della vicenda narrata. Si trattava di una forma di intrattenimento piuttosto diffusa, prima dell'avvento della televisione: a quel punto, Shirato decise di cambiare rotta e di intraprendere la professione di mangaka, di autore di fumetti. Avverso all'omologazione che il mercato tradizionale imponeva ai lavori in commercio, e trovatosi nella necessità di aggirare la censura che veniva applicata ai prodotti più commerciali, Shirato rifiutò a lungo di vendere i propri lavori attraverso le grandi case editrici, ripiegando sul sistema del "kashihon", qualcosa di simile ad un prestito bibliotecario che si poteva ottenere previa modicissima spesa. Quasi tutte le sue opere, in primis e soprattutto quelle più famose ("Ninja Bugeicho", "Kamui Den", "Kamui Gaiden"), si diffondono inizialmente tramite questo sistema: non raggiunsero mai il grande pubblico, quindi, ma uno fedelissimo e affezionato. Fin dai suoi primi lavori, Shirato esplora in modo realistico l'universo dei ninja, specialmente nel Giappone medioevale: non per niente il suo primo successo (pubblicato tra 1959 e 1962), si intitola "Ninja bukeiko Kagemaru Den" ovvero, tradotto alla buona, "L'apprendistato di un ninja, la leggenda di Kagemaru". Quest'opera, edita in Italia solo nel 2012, divenne un grande successo anche e soprattutto per i suoi contenuti ideologici: è infatti una delle letture più diffuse all'interno dei movimenti studenteschi che, tra gli anni sessanta e settanta, scossero il Giappone. Questo modo di raccontare pregno di significati e dotato di una lettura ben precisa - seppur mascherata - delle vicende contemporanee è uno dei marchi di fabbrica della poetica di Shirato, e lo ritroviamo praticamente ovunque nella sua restante produzione (per lo più improntata su lavori di genere analogo), e avvicina l'autore al genere di cui è divenuto maestro indiscusso, il "gekiga", termine giapponese che significa "immagini drammatiche" (termine che fu coniato da Yoshihiro Tatsumi e in seguito adottato da altri mangaka giapponesi, che non apprezzavano che il termine manga - "immagini disimpegnate" - fosse impiegato in riferimento alle loro opere), ovvero fumetti per un pubblico adulto. Un po' come le "graphic novel" rispetto ai "comics". La figura del ninja è predominante nella produzione di Shirato che ne offre un'interpretazione differente da quella maggiormente diffusa (soprattutto negli anni settanta) che alternava magia e poteri al limite del sovrannaturale a prestazioni erotiche e pruriginose: il mondo dei suoi ninja serve come scenario violento e opprimente per un'analisi cruda ma attenta dei problemi sociali e morali del Giappone contemporaneo. Essi possono incarnare ideali, sia positivi sia negativi, oppure l'animo umano nelle sue contraddizioni, ma è raro che Shirato li dipinga al di fuori di un realismo spesso dai tratti agghiaccianti. Tra le opere ambientate nel mondo dei ninja, ricordiamo tra le più importanti "Ninja Bugeicho", "Kaze no Ishimaru", "Sasuke", "Watari" e soprattutto il suo capolavoro, la lunga saga di "Kamui". Ninja Bugeicho racconta le vicende dei contadini che si oppongono allo sfruttamento e alle trame dei vari daimyo locali in quel periodo tormentato e turbolento che è passato alla storia come epoca Sengoku. A guidare la loro resistenza è il ninja Kagemaru, capo del clan di Kage. L'apporto ideologico che impregna la narrazione è evidente, così come è evidente - e in qualche modo unica, considerando il resto della produzione che seguirà - la visione ottimistica del futuro: sebbene i toni dell'opera siano spesso cupi e brutali, il suo epilogo - per quanto triste - si apre alla speranza di un domani migliore. Del tutto assente questo barlume di speranza, invece, è nella saga più che decennale dedicata a "Kamui": la storia del ragazzo che, per sfuggire alla discriminazione sociale, cerca rivalsa diventando ninja e poi, avendo compreso la reale natura sanguinaria e opprimente di quella vita, fugge dal clan attirandosi una vendetta implacabile, è suddivisa in due grossi blocchi, ognuno dei quali dedicato ad un segmento della sua vita. "Kamui Den" racconta la sua infanzia, fino alla sua decisione di ribellarsi; "Kamui Gaiden", invece, descrive le peripezie della sua continua fuga. Non c'è ideologia positiva tra le sue pagine, solo un amarissimo rifiuto nei confronti di una società gretta, meschina e prevaricatrice, accompagnato dal bisogno di provare fiducia nel prossimo che però viene costantemente tradito. Kamui, diversamente da Kagemaru, non incarna un ideale di lotta positivo che si impegna a combattere il male; Kamui è semplicemente consapevole della mancanza di vie d'uscita, e tuttavia non riesce a liberarsi dalla speranza di trovare pace da qualche parte, un giorno, benché tale speranza si configuri di fatto come un'illusione manovrata dal più bestiale istinto di sopravvivenza. "Kaze no Ishimaru", riguarda un ninja incaricato di difendere una preziosa sfera dalle mani degli uomini di Tokugawa, decisi a tutto pur di rubarla perché chiave di un pericoloso segreto. "Watari" invece descrive una guerra tra clan di ninja, fomentata da un crudele daimyo contro il quale il ragazzino protagonista e suo nonno combatteranno. Quanto a "Sasuke", abbiamo di nuovo un protagonista bambino che, assieme al padre, è costretto a sfuggire alla persecuzione del suo clan da parte dei ninja al soldo di Tokugawa. L'accuratezza storica (come sempre, nelle opere di Shirato) è precisissima, e ricorrono molte figure realmente esistite, anche se comunque il manga si regge più che altro sugli sforzi di Sasuke di crescere come ninja e come uomo. Tutte queste opere hanno avuto un successo sufficiente a garantire loro una versione animata o cinematografica che le immortalasse. A "Kagemaru" e ai suoi ninja venne dedicato un film diretto nel 1967 da Nagisa Oshima; "Kaze no Ishizaru" divenne una serie animata (sebbene fortemente rimaneggiata ed edulcorata nei contenuti) dal titolo "Shonen ninja kaze no Fujimaru" (1964). Anche "Sasuke" e "Kamui" vennero animati, rispettivamente nel 1968 e nel 1969, e furono le uniche due serie che giunsero anche in Italia (i titoli delle versioni doppiate sono "Sasuke il piccolo ninja" e "L'invincibile Ninja Kamui"). "Watari" invece venne trasformato in un film prodotto dalla Disney e diffuso anche in Italia, col titolo "Watari, ragazzo prodigio". Non solo di ninja, però, è costellata la produzione di Shirato: andiamo dalle opere di carattere mitologico e fiabesco ("Shinwa Densetsu Series"), a quelle dedicate all'universo femminile ("Nyoboshi Series"), dal naturalistico "Seton Dobutsuki" allo shojo, il genere manga per ragazzine ("Kieyuku Shojo"). Tra le opere minori conviene ricordare anche "Akame - The red eyes", che è stata tradotta e pubblicata in italiano. Difficile dire se sia stata una fortuna o una condanna crescere coi cartoni di Shirato. Chissa quanto avranno influito sull'assuefazione alla violenza di una intera generazione. Di sicuro erano meglio dei troiai che si vedono ora! Tanti auguri, Maestro!

"Questa è una storia di guerra, del raggiungimento dell'obiettivo passo dopo passo. Questo è il motivo per cui esistiamo e per cui continuiamo a vivere."
Sampei Shirato - Ninja Bugeicho Kagemaru Den

Sampei Shirato