1 gennaio 
L'ALMANACCO PULP dei Mutzhi Mambo 
Buon Anno a tutti, cari amici dei Mutzhi Mambo! Finalmente ci aspetta un anno di orrore, sesso, violenza e tanto, tanto rock'n'roll! Un vero Anno Pulp! E quale migliore colonna sonora per un Anno Pulp della chitarra di RON ASHETON e dei suoi Stooges? Il grande chitarrista di Washington non ha certo bisogno di presentazioni, tanta e tale è stata la sua importanza e influenza nel mondo della musica, quindi siamo piu che lieti di inziare questo Vostro Almanacco proprio con lui! Inoltre gli Stooges simboleggiano alla perfezione l'idea di uno spartiacque (come in fondo dovrebbe essere un primo dell'anno) fra una musica prima e una dopo di loro. Perché sono stati veramente importanti, fondamentali e hanno precorso tutta la musica "cattiva" a venire, dal punk al noise, passando per il metal e l'industrial... Ron Asheton naque a Washington, il 17 luglio del 1948. Prima di iniziare a suonare la chitarra, all'età di dieci anni, erano già cinque anni che suonava la fisarmonica. La sua carriera musicale iniziò con l'ingresso nel gruppo Dirty Shames, salvo poi lasciarlo per entrare a far parte nel 1967 degli Stooges. Il cantante James Newell Osterberg, ispirato dal Chicago Blues e da gruppi come i Doors, aveva formato infatti nel 1965 gli Psychedelic Stooges (in omaggio ai comici "The Three Stooges"), imbarcando nell'impresa Ron, suo fratello Scott alla batteria e Dave Alexander al basso. Dopo circa due anni dalla fondazione il nome verrà successivamente contratto in Stooges e il gruppo debuttò all'Università del Michigan il giorno di Halloween del 1967, segnalandosi subito per il carattere oltraggioso e provocatorio dei propri show, durante i quali non di rado il front-man (che prese poi il nome di Iggy Pop) si procurava da solo ferite sul petto e sulle braccia e si gettava al pubblico. Nel 1968 ottennero un contratto con la Elektra Records, e pubblicano l'anno successivo il primo LP omonimo (nel quale Iggy Pop venne accreditato come Iggy Stooge), prodotto da John Cale dei Velvet Underground, gruppo che influenza decisamente il sound del disco: aspro, ruvido e "garage" nei suoni, ma assai meno spartano e rozzo di quanto si potrebbe immaginare. Perché oltre a far deflagrare le loro chitarre sature e a innalzare i loro possenti muri ritmici, gli Stooges sanno anche scrivere canzoni. Con refrain secchi e diretti, che vanno dritti al bersaglio, atmosfere suggestive e un'interpretazione vocale che aggiunge morbosità e magnetismo. Si parte con un fendente secco come "1969": ritmo boogie ballabile, ritornello conciso rock'n'roll, un basso che pompa sangue, Iggy che urla sguaiato la sua noia. Un vero inno ma è tutto ancora, in un certo senso, "classico". Quasi una versione sporca di Bo Diddley. A portare per mano l'ascoltatore nel mezzo dell'orgia è la successiva "I Wanna Be Your Dog". Tre-accordi-tre di chitarra, per cominciare. E tre minuti di delirio, tra urla, feedback acidissimi e oscene profferte sessuali, suggellati dall'assolo urticante di Asheton.Dopo aver tirato la tensione allo spasimo, gli Stooges rallentano. Ma "We Will Fall" è un'altra stanza della perdizione, stavolta oscura, asfittica, opprimente: un sabbah psichedelico ripreso da un canto rituale indiano, che si trascina per dieci minuti, con la viola ossessiva di John Cale che non dà tregua, i wah-wah distanti delle chitarre, il recitato straniante di Iggy e i cori d'oltretomba sullo sfondo. L'altro manifesto proto-punk del disco è "No Fun", ovvero il nichilismo dei Sex Pistols dieci anni prima, a spezzare i sogni di Woodstock. Addio flower-power ed età dell'Acquario: la festa è finita, c'è solo il nulla. Il suono alienato della periferia industriale americana condensato in un pugno di riff, convulsioni e handclapping, con il solito assolo al fulmicotone di Asheton a suggellare il tutto. L'album non ebbe un elevato successo di vendita (raggiunse all'epoca solo 35.000 copie vendute), ma rimane una pietra miliare assoluta per una generazione di proto-punk assetati di sesso, droga e rock'n'roll. Perché è questo, in fondo, che offrono gli Stooges. Puro rock'n'roll, intorbidito però da un'aura perversa e sordida, ereditata dai Velvet Underground e dai Doors più inquietanti. Il secondo atto degli Stooges è del 1970 e prende ironicamente il nome dalla fattoria che ospitava le loro deliranti session, nei dintorni di Ann Arbor: "Funhouse", la casa del divertimento. Rifiutata la produzione "troppo intellettuale" di Cale a beneficio di quella più sanguigna di Don Gallucci (già con i Kingsmen di "Louie Louie"), il gruppo osa forse ancor di più nell'alzare il tiro, sfornando un album totalmente incendiario. Le prime tre tracce non sono altro che un antipasto, un assaggio del "delitto sonoro" che si materializzerà nella seconda parte del disco. Il blues sudicio di "Down On The Street" - con un riff prepotente e i latrati di un Iggy fuori controllo - trasuda tutta la ferocia di un disco che antepone l'immediatezza e l'improvvisazione a ogni posa. Il frastuono di "Loose" lambisce l'hard-rock, con un drumming furibondo e il fraseggio infuocato di Asheton, mentre l'urlo programmatico di "T.V. Eye" innesca un altro delirio acido a velocità supersonica. I sette minuti di "Dirt", in un certo senso, anticipano le atmosfere torrenziali del lato B: un blues distorto e magnetico, con la voce di Iggy abilmente coadiuvata dal disordinato ma efficacissimo chitarrismo di Asheton. Un attacco sinistro e minaccioso di chitarra scandisce l'inizio di "1970", primo vero assalto alle coronarie di un ascoltatore che dopo pochi minuti verrà indelebilmente "stuprato" dall'incredibile miscela di rabbia, rantolii e istinto animale che pervade tutta l'opera. Ecco allora il caotico, peccaminoso finale stile "primal-scream" di "1970", nel quale le grida scorticatissime e abrasive di Pop danno vita a un incubo dal quale sembra impossibile svegliarsi. E' il trionfo della voce (quasi) hardcore di Iggy, genialmente accompagnata da un disconnesso, stralunato sax, in quest'occasione suonato da un formidabile Steven McKay, che conferisce un senso di vuoto e smarrimento totale. Esaurito il "calderone-erotico-sadomaso" di "1970", ecco il funk lascivo della title track, che ne è l'ideale proseguimento, quasi si trattasse di un corpo, di un'entità a sé stante, persa nella sua aurea di eterna infelicità e rabbia metropolitana. In questo frangente il sax di McKay è magistrale e "ingrossa" egregiamente il clima ai confini della realtà. E' un festival di macabre, ultradistorte e selvagge sonorità, un melting-pot grandguignolesco che pone come baricentro il grido, malato e drogato, solitario dell'Iguana. Chitarra, sax, voce e una secchissima batteria sembrano seguire percorsi autonomi, sebbene in realtà tutto venga miracolosamente tenuto in bilico da una strettissima fibra che rimarrà intatta fino alla fine del disco. Poi viene il finale: un marasma di follia e autodistruzione in cui i quattro giovanotti di Detroit sfogano la loro rabbia. "L.A. Blues" non è affatto un blues, ma una inverosimile e indigeribile accozzaglia di chitarre ultra-sature, anarchica batteria e sax in bilico tra inconcepibili strilli e stonature volute e momenti di brevissima lucidità: una celebrazione del rumore più primitivo, spostato e nichilista che si possa immaginare. Un lungo, fastidioso, ficcante sibilo, e poi la voce di Iggy Pop, esausta e rantolante, giungono ad annunciare l'epilogo di una vicenda che non ha eguali nella storia del rock. Ma durante il tour per promuovere il disco, cominciano le prime frizioni all'interno della band. Nel 1971 Iggy, Ron, Scott e Dave si lasciano in malo modo per sopravvenuti problemi di cocaina e divergenze artistiche. Il sound furibondo degli Stooges viene, così, smorzato come un amplificatore al quale viene staccata all'improvviso la spina. La band, tuttavia, non è ancora da seppellire. David Bowie, esploso in Inghilterra con "Ziggy Stardust" nell'estate del 1972, invita pubblicamente Iggy e soci a tornare in pista e li affida alle cure del suo manager, Tony DeFries. Ecco, allora, i nuovi Stooges (ribattezzati Iggy & The Stooges) riformarsi a Londra con Ron relegato al basso e James Williamson alla solista. Il gruppo, però, non si fa affatto prendere (come i Mott The Hoople o Lou Reed, per citare i due album prodotti da Bowie) dalla moda imperversante del glam e rifiuta la produzione di David, che interverrà soltanto in seguito, in fase di mixaggio (a detta di alcuni, rovinando il suono originario). La musica è ancora terribilmente ad alto volume, depravata e animalesca. "Search And Destroy", "Your Pretty Face Is Going To Hell" e "Death Trip" sono assalti alle coronarie che proseguono la linea da "stupro dell'ascoltatore" tracciata in Funhouse. Eppure, oltre a essere più "pacato" (termine alquanto paradossale), "Raw Power", abbandonando quella specie di "wall of sound" messo su da Ron Asheton, appare molto più "divertente" rispetto ai due album precedenti. "Gimme Danger" è una ballad killer di intensa bellezza mentre "I Need Somebody" offre un blues demoniaco e "Shake Appeal" potrebbe essere un voodobilly ante litteram. "Raw Power", però, è anche il canto del cigno degli Stooges: l'ultimo, turbolento concerto al Michigan Palace di Detroit, immortalato nel live "Metallic Ko" (1976), ne sancisce lo scioglimento. Ron Asheton forma quindi il gruppo dei New Order (da non confondere con l'omonima band inglese), gruppo con il quale pubblicherà un solo album nel 1978 intitolato semplicemente "New Order". Successivamente entrò a far parte dei Destroy All Monsters. Lasciato anche questo gruppo, fece parte, insieme a Deniz Tek e Rob Younger dei Radio Birdman, del supergruppo New Race, con il quale pubblicherà un unico album dal vivo intitolato "The First and The Last". Dopo essersi preso una lunga pausa, Ron ritornò sulle scene intorno alla metà degli anni novanta, registrando con gli Empty Set il disco "Thin, Slim and None" coprodotto dall'italiana Flippaut Records. Partecipò anche alle registrazioni dell'album "The Last Great Ride" con il gruppo Dark Carnival. Insieme a Mike Watt, J Mascis dei Dinosaur Jr., Thurston Moore dei Sonic Youth e Mark Arm dei Mudhoney ha lavorato alla colonna sonora del film del 1998 "Velvet Goldmine". Ha fatto anche qualche apparizione come attore nei film "Mosquito" (1990), "Frostbiter: Wrath of the Wendigo" e "Legion of the Night". Nel 2007 arriva anche la clamorosa reunion degli Stooges. I prodromi, in realtà, c'erano stati quattro anni prima, quando gli ex-Stooges si erano già riuniti (Pop alla voce, i fratelli Asheton alla chitarra e batteria, e il nuovo bassista Mike Watt, ex-componente di Minutemen e Firehose, visto che Dave Alexander era morto nel 1975, a 27 anni, per una polmonite sopraggiunta dopo anni di eccessi alcolici), partecipando alle registrazioni dell'album solista di Iggy Pop "Skull Ring" e riprendendo l'attività live, a cui aveva preso parte anche MacKay. In "The Weirdness" Iggy Pop, gli Asheton e Mike Watt giocano a fare gli Stooges e si divertono molto. Produce Steve Albini. Ron domina, Iggy gigioneggia come sempre ma in questo caso calca la mano (sessant'anni e "la mia idea di divertimento è uccidere tutti quanti"), Watt c'è e non c'è. C'è McKay con il suo sax sì, ma qui sembra più che altro un turnista da piano bar, melodioso quando serve e spompato quando occorre esagerare. Le canzoni migliori sono "My Idea", il ritornello becero di "Free & Freaky", "Greedy Awful People", la scontatissima ma efficace "I'm Fried", "Mexican Guy", che osa un ritorno sui luoghi di Funhouse, e un paio di pezzi più morbidi: "The Weirdness", una ballata caracollante adatta a un ritrovo di Hell's Angels in pensione, e "Passing Cloud", classico brano d'atmosfera a fine scaletta. Poi altri riempitivi, che non aggiungono granché a un disco tutt'altro che impeccabile. Ma ciò che più di ogni altra cosa da fastidio è l'idea che una leggenda possa rimettersi in moto. Troppo si era detto, pensato, immaginato, riguardo agli Stooges, troppo erano eccezionali (nel senso letterale del termine) quando uscirono, per non risentire impietosamente dell' "effetto delusione" quando sono tornati insieme, pur non essendo l'album affatto male. Ma "niente male" non puo essere un aggettivo per gli Stooges... poi chissà che sarebbe successo se il 1 gennaio del 2009 Ron non fosse rimasto stroncato da un infarto nella sua casa di Ann Arbor in Michigan. Chissà....
Auguri ancora di un Buon Anno bello Pulp da i vostri Mutzhi Mambo!

"No fun my babe
No fun 
No fun my babe
No fun 
No fun to hang around
Feelin' that same old way
No fun to hang around 
Freaked out for another day
No fun my babe
No fun 
No fun my babe
No fun 
No fun to be alone
Walking by myself
No fun to be alone 
In love with nobody else
Well maybe go out, maybe stay home
Maybe call Mom on the telephone
Well c'mon, well c'mon
C'mon c'mon
Now Ron, I say Ron 
C'mon and lemme hear you tell em
Lemme hear you tell em
Now I feel
I say lemme hear you
Tell em how I feel, yeah, my man
No fun to be alone
It's no fun to be alone
Hang on
Don't you lemme go
It's no fun to alone
To be alone"
The Stooges - No Fun

Ron Asheton