Finalmente! Dopo una lunga, misteriosa latitanza, ritornano dal vivo i letali MUTZHI MAMBO! E che giorno scelgono per TORNARE DAL VIVO? Ma il GIORNO DEI MORTI, come potrebbe essere altrimenti! E ci...

Orgogliosissimi di essere stati nominati in questo benemerito programma! Siamo infatti stati citati, col nostro nuovo album IL MALE È DENTRO, in WONDERLAND, un programma televisivo, in onda su Rai 4...

UN ALTRO GIORNO ALMENO, il primo video tratto dall'album "Il Male è Dentro" è su YouTube! È giusto ammazzare in nome di Dio (o come vi piaccia chiamarlo)? Una domanda quanto mai attuale, cari amici...

Chi non si è masturbato almeno una volta vedendo o pensando ai suoi film, non ama Dio e la famiglia, non è un patriota, non è degno di far parte del consesso civile!
A parte gli scherzi, cari amici dei Mutzhi Mambo, il malizioso TINTO BRASS è davvero il più grande Maestro dell’erotismo su celluloide!
Autentico cantore della procacità femminile, proprio nell’abilità di immortalare bellezze burrose e debordanti, si è dimostrato l’unico degno erede di Russ Meyer, ma anche della carnalità oversize di Fellini; Tinto Brass è un voyeur raffinato e capace di messe in scena geniali e suggestive ma nel contempo pure un autore di grana grossa, volgarotto, banale.
Ed è questa la sua forza: l’aver individuato e riproposto con sagacia e gran senso estetico gli stereotipi erotici comuni, quelli più pecorecci, che sono quelli, in fondo che alluzzano di più e sempre lo spettatore, quasi come degli archetipi sessuali.
Maestro del piacere come scopo di vita, Brass è un mago nel celebrare la carne e l'abbondanza femminile con ironia e goliardico spirito godereccio, imponendo il sesso come primo comandamento e il tradimento come spezia piccante del rapporto di coppia. 

Tinto Brass12
In realtà, a voler essere cattivi, i suoi film potrebbero essere letti come delle versioni furbacchione, più sconce e pretenziose, delle commediacce sexy all’italiana o di qualche melodramma sentimentale.
Ma si parla delle sue produzioni da “La chiave” in poi, chiaramente, quelle in cui le sue ossessioni sul culo (principalmente ma non solo…) hanno preso definitivamente il sopravvento.
Non che ci dispiaccia il Tinto Brass più porcellone ma va detto che le sue produzioni fino agli anni ’70 sono di gran lunga più interessanti e innovative.
In questa fase, ha realizzato dei veri capolavori, film coraggiosi e per l’epoca, assolutamente anticonformisti, riuscendo a coniugare la visionaria sensualità di un Fellini con la delirante spregiudicatezza del cinema di genere.
Ma sembra quasi che il cineasta anarchico che teorizzava il vizio e l’eros come massima espressione di ribellione a ogni forma di ipocrisia e costrizione sociale e di insofferenza verso il potere e le sue istituzioni, a partire dagli anni ’80 sia stato sostituito da un vecchio satiro libertino, interessato solo a spiare sotto le gonne.
Con il sigaro d'ordinanza in bocca e l’aria sorniona e ostentata da sporcaccione, Brass si è trasformato quasi nella caricatura del suo “personaggio”, e il suo cinema sembra essersi fermato alla minuziosa e un po’ripetitiva rappresentazione di scenette piccanti, nella celebrazione un po’sterile del piacere dei sensi, a scapito della (ormai presunta) fustigazione del perbenismo e della mentalità bigotta. 
Per fortuna non gli è mai mancata una forte dose di colorita ironia e una certa cura del dettaglio e della fotografia (nonché il suo leggendario “occhio” nello scegliere le attrici e la sua bravura nel valorizzare il loro “lato” migliore) che lo salvano dall’essere un mero mestierante soft-core. 
Ripetiamo, nulla contro il suo cinema sexploitation: in fondo riesce sempre ad essere il meglio, quando si tratta di inscenare situazioni arrapanti.
E di questo gli rimarremo sempre grati! 
Le nostre diottrie un po’ meno...

Giovanni Brass (così all’anagrafe) nasce a Venezia, il 26 marzo del 1933. 
Il soprannome Tinto deriva dal pittore Tintoretto, che piaceva molto alla nonna.
Nel 1957 si laurea in Giurisprudenza a Padova, ma la sua grande passione è il cinema. 
Così, si trasferisce a Parigi per lavorare come archivista in una delle più prestigiose e ricche collezioni filmiche del mondo, quella della Cinémathèque Francaise.
È in quest'ambiente che entra in contatto con la nascente Nouvelle Vague e il suo spirito realista, autoriale e innovatore. 
Qui Brass inizia la gavetta come aiuto regista di Alberto Cavalcanti e Joris Ivens. 
Tornato in Italia, diventa aiuto regista di Roberto Rossellini per “India” e “Il generale Della Rovere”, entrambi del 1959. 
Qualche anno dopo, Brass è pronto a esordire in prima persona. 
Nel 1963 confeziona il suo primo film scandalo, ma non incappa nella censura per oltraggio al pudore, bensì per l'ideologia politica sottesa al suo “In capo al mondo”, apologo sul disagio giovanile, del quale cura anche la sceneggiatura e il montaggio. 
Questa storia vagamente autobiografica, su un giovane disoccupato, anarchico e ribelle a un sistema nel quale stenta a inserirsi, viene bloccata dai censori che impongono al regista di rifare il film. 
Per tutta risposta, Brass cambia solo il titolo, che diventa “Chi lavora è perduto”, rendendo ancora più esplicito il messaggio politico e sociale provocatorio e anticonvenzionale. 

Tinto Brass7Pur trovandosi a suo agio in generi impegnati, il nostro non disdegna le incursioni in produzioni più commerciali, come le commedie “L'uccellino” e “L'automobile” (episodi di “La mia signora”, film collettivo del 1964, diretto con Luigi Comencini e Mauro Bolognini), o la favola satirica dai risvolti morali “Il disco volante” (1964), in cui Alberto Sordi interpreta quattro diversi personaggi nel “Veneto invaso dagli alieni”.
“Ça ira - Il fiume della rivolta” (1965) è un documentario, realizzato con immagini di repertorio, sul movimento operaio e sulle rivoluzioni del Novecento, mentre “Yankee” (1966) si inserisce nel solco dello spaghetti-western. 
Nelle intenzioni del regista c’era l’idea di trasporre su grande schermo la storia presentandola con un taglio simile a quello delle tavole dei fumetti. 
Per questa ragione c’è una cura particolare nelle inquadrature dei dettagli anche se a volte si notano carenze nel montaggio probabilmente dovute al contrasto insorto tra regista e produzione: le due parti entrano in conflitto quando il film è già praticamente terminato.
La produzione, infatti, non condivide l’idea dell’esperimento pop e decide unilateralmente di far rimontare tutto il materiale filmato.
Brass non prende bene questa decisione e rinnega la sua paternità tanto che ancora oggi non lo inserisce nella sua filmografia ufficiale. 
La storia non è certo originalissima, con il solito cattivone messicano (interpretato da un feto Adolfo Celi) e l’eroe straniero capace di raddrizzare i torti (con l’amplomb di Philippe Leroy), e pur col criminale rimontaggio mantiene molti elementi d’interesse, a partire dalla fotografia di Alfio Contini, la cura dei dettagli, e una serie di scene cult come la donna nuda legata al palo e la crocefissione del protagonista.
Film assolutamente “sui – generis”, grottesco, coloratissimo, con scene di nudo e violenza assolutamente audaci per l’epoca; per quanto a volte sconclusionato, diventa ben presto un cult, un unicum nel già ricco filone del western all’italiana.
Continuano le sperimentazioni di genere, con esiti discutibili, con il giallo ispirato a “Blow Up” di Antonioni, intitolato “Col cuore in gola” (1968) e il sentimentale “Nero su bianco” (1969), in cui già si coglie un primo accenno a quella che diverrà la sua “poetica” futura e che contrassegnerà il secondo periodo della produzione del regista. 
Convincono, rinvigorendo lo spirito anarchico e libertario del primo film, “Dropout” (1970) e “La vacanza” (1971), in cui Brass dirige Vanessa Redgrave e Franco Nero in due film che rappresentano un viaggio dentro la follia, intesa come mezzo di ribellione alle oppressioni sociali, dai bassifondi londinesi alla campagna veneta.
Simile per il messaggio anticonvenzionale di fondo, ma più leggero nello svolgimento è “L'urlo”, con Gigi Proietti e Tina Aumont, girato nel 1968 ma incappato nella censura e dissequestrato nel 1974, che narra le avventure di una ragazza che respinge il fidanzato borghese e la società di massa che rappresenta. 
Censurato e approvato solo dopo ben 16 tagli non autorizzati dal regista, che cercherà invano di far togliere il proprio nome dai crediti, è anche “Salon Kitty” (1975), dramma storico ambientato in un bordello nella Germania della Seconda guerra mondiale, con protagonista un grande Helmut Berger.
Insieme a “Portiere di notte” della Cavani e “Salò” di Pasolini, è uno dei capostipiti illustri dell’infame filone naziploitation, uno dei più amati da noi Pulpisti DOC, morboso genere a base di torture e umiliazioni sessuali spacciate come critica ai seguaci di Hitler.

Tinto Brass1Consigliatissima la versione uncut!
Il successo internazionale di “Salon Kitty”, permette al nostro di accedere alla faraonica produzione di “Caligola” (1979), la delirante vicenda del folle imperatore romano, interpretato dal sinistro Malcolm McDowell, insieme a Teresa Ann Savoy e Peter O’Toole. 
Le riprese sono però travagliatissime: Brass scaccia lo scrittore Gore Vidal e a sua volta viene licenziato dal produttore, l'editore di Penthouse Bob Guccione, perché si rifiuta di girare scene hardcore.
Guccione farà poi interpolare le riprese con scene di nudo e sesso esplicito riprese da Giancarlo Lui.
Il risultato è che il film, capolavoro di estetica kitsch, viene sequestrato praticamente in tutto il mondo e ne usciranno diverse versioni, più o meno tagliate.
Nel 1984 viene rimontato da Franco Rossellini, grazie al fortuito ritrovamento dei negativi originali, ma taglierà di brutto le sequenze più crude e pornografiche, riducendo di quasi la metà la durata complessiva, cercando di ottenere il fatidico visto della censura: ma quando esce di nuovo nelle sale, col titolo “Io, Caligola”, il visto non arriverà lo stesso... 
L'ossessione della sessualità tout-court prende allora il sopravvento nella produzione del regista veneto e l'eros viene amplificato nelle opere successive, come “Action” (1980), beffarda riflessione sul rapporto che lega arte e pornografia (anche se ancora “casto” rispetto ai film che seguiranno), e soprattutto “La chiave” (1983), tratto dal romanzo dello scrittore giapponese Tanizaki Jun'ichiro, film che lancia la splendida Stefania Sandrelli come milf definitiva.
Grande successo di pubblico e critica, grazie al suo sapiente mix di erotismo e turbe psicoanalitiche borghesi, “La chiave” spalanca al regista le porte dell'olimpo del cinema erotico, convincendolo della bontà della scelta di passare da generi più impegnati a una maggiore leggerezza. 
Le polemiche e le censure, però, non si smorzano di certo, anzi, tenderanno ad accentuarsi, dato il carattere esplicitamente sessuale della sua seconda fase produttiva e le critiche rivoltegli dalle femministe, che lo accusano di dipingere la donna come un mero oggetto di piacere. 
Nel frattempo, però, molte attrici faranno tesoro della celebrità che i passaggi nei film di Brass gli garantisce (salvo poi, in alcuni casi rinnegarlo, una volta affermate), diventando ogni volta delle celebrate icone sexy: dalla monumentale, debordante silhouette di Serena Grandi di “Miranda” (1985), rilettura del classica commedia Goldoniana “La locandiera”, alla ancora acerba figura di Francesca Dellera (prima cioè di gonfiarsi tette e labbra come un canotto) di “Capriccio” (1986), dalle burrosissime tettone di Debora Caprioglio di “Paprika” (1990), ai torniti fondoschiena di Claudia Koll di “Così fan tutte” (1991), e di Anna Ammirati di “Monella” (1998). 
Unico parziale caso a sé è il noir “Snack bar Budapest” (1988), con Giancarlo Giannini: non un capolavoro ma possiede un suo perché, soprattutto grazie alle atmosfere un po’bizzarre.
Ben presto, però, la ripetitività di schemi e situazioni affievolisce l'interesse e la curiosità del pubblico nei confronti della sua filmografia: bruttino “L'uomo che guarda”, liberamente tratto da un romanzo di Alberto Moravia, divertenti ma niente più “Fermo posta Tinto Brass”, in cui è anche attore, e “Tra(sgre)dire”. 
Il regista tenta allora il rilancio come autore più “impegnato” col noiosissimo “Senso '45” (2001), in cui la pur brava Anna Galiena si presta con generosità davanti alla macchina da presa ma non è certo una delle bellezze più memorabili del serraggio del regista veneziano.

Tinto Brass3
Ci si mette anche la stolida inespressività del belloccio Gabriel Garko, a far naufragare questa rilettura in chiave erotica, ambientata nella Venezia del 1945 con i nazifascisti ormai in fuga, del racconto omonimo di Camillo Boito, dal quale già Luchino Visconti aveva tratto il film omonimo del 1954. 
Con gli ultimi film (ad ora) “Fallo!” (2003), raccolta di situazioni piccanti, degne di fumetti tascabili tipo "Corna vissute", e “Monamour” (2005), i soliti turbamenti erotici della solita ninfomane trascurata dal marito, Brass torna agli schemi ormai già visti e rivisti, confermando il manierismo e l'esaurimento della carica eversiva del suo cinema. 
E' stato sposato con la sceneggiatrice e collaboratrice Carla Cipriani (che lui chiamava "La Tinta"), morta nel 2006: ha due figli, avuti dalla moglie, Beatrice e Bonifacio.
Ritagliandosi alcune parentesi per recitare, lavorare in teatro o scrivere il libretto “Elogio del culo” (ormai esauritissimo e diventato, neanche a farlo apposta, un vero oggetto di culto), dopo la morte della moglie inizia una relazione con la sua nuova musa, la procace Caterina Varzi, psicoanalista, ex-avvocato e attrice. 
Nell'aprile del 2010 è vittima di un'emorragia cerebrale dalla quale si riprende grazie all'aiuto della compagna, ma che per poco non gli toglie la memoria e l'uso della parola.

Tinto Brass5Il 3 agosto 2017 all'età di 84 anni si unisce in matrimonio con Caterina.
Naturalmente ciò ha scatenato una di quelle squallide bagarre per la gestione del patrimonio, visto che i figli vorrebbero interdire Brass dalla sua gestione, perché a loro dire, ormai incapace e succube della nuova moglie.
Una vita spesa a celebrare il piacere dei sensi ed eccolo anche lui a litigare col parentame per grette questioni di soldi.
Che tristezza, davvero!
Comunque sia, tanti auguri Maestro!

“Il culo è lo specchio dell’anima”
Tinto Brass

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