Finalmente! Dopo una lunga, misteriosa latitanza, ritornano dal vivo i letali MUTZHI MAMBO! E che giorno scelgono per TORNARE DAL VIVO? Ma il GIORNO DEI MORTI, come potrebbe essere altrimenti! E ci...

Orgogliosissimi di essere stati nominati in questo benemerito programma! Siamo infatti stati citati, col nostro nuovo album IL MALE È DENTRO, in WONDERLAND, un programma televisivo, in onda su Rai 4...

UN ALTRO GIORNO ALMENO, il primo video tratto dall'album "Il Male è Dentro" è su YouTube! È giusto ammazzare in nome di Dio (o come vi piaccia chiamarlo)? Una domanda quanto mai attuale, cari amici...

Et voilà, cari amici dei Mutzhi Mambo, uno scatto del calendario e rieccoci tornati nelle ruvide terre del Sol Levante!
C’è poco da fare: in fatto di Pulp i giapponesi danno le paste a tutti!
È una cinematografia un po’ sconosciuta, quella dell’Estremo Oriente, ma che merita di essere riscoperta e seguita con somma attenzione.
In particolare, per quello che strettamente riguarda la storia del Pulp, è fondamentale il filone “Pinky Violence”, di cui NORIFUMI SUZUKI era un vero specialista!
Genere piuttosto infame, assolutamente improponibile all’epoca dalle nostre parti (anche se pure noi, sul cinema violento e morboso, abbiamo da dire la nostra con orgoglio, però in termini diversi e meno legati alle grazie adolescenti), il termine “pinky violence” designa un sotto-genere cinematografico, legato al “pinku eiga” (il soft-core in salsa giapponese, quindi incentrato principalmente sulle bellezze mooolto acerbe e mooolto sottomesse) e alla sexploitation, in voga nell’Impero nipponico dalla fine degli anni ‘60. 
Si tratta di un filone violento ed erotico, con protagoniste belle ragazze ribelli (le cosiddette “sukeban”) in cerca di vendetta per i torti subiti. 
I film di questo genere furono prodotti per la maggior parte dalla Toei e dalla Nikkatsu.
Chiaramente si tratta di pellicole per la maggior parte di infame fattura e moralmente discutibili, ma paradossalmente offrono un’immagine della donna molto più “forte” e indipendente, rispetto alla cultura maschilista dell’epoca.
Chiaro che a questa “emancipazione”, le nostre giovani “eroine” ci arrivavano dopo aver subito una serie di sadiche e indicibili vessazioni, che le lasciavano immancabilmente seminude e doloranti e su cui la telecamera indulgeva compiaciuta; tanto che la vendetta finale, oltre ad essere catartica, liberatoria, suona sempre un po’ posticcia, quasi un espediente messo a posteriori per poter giustificare le violenze precedenti e i massacri finali.
A ben vedere però, spesso e volentieri, le protagoniste delle peggiori malefatte erano donne a loro volta (suore aguzzine, bulle liceali, mafiose senza scrupoli), tanto per assecondare il “gusto” voyeuristico dello spettatore, bramoso di lotte e torture sempre più fantasiose ed elaborate.
Simile e, se vogliamo, anticipatore del cosiddetto filone “rape ad revenge”, nonché di tanto del Pulp a venire (“Kill Bill” di Tarantino è praticamente un omaggio neanche tanto velato a questo genere), per non parlare del “torture porn” che tanto va ora di moda, il “Pinky Violence” rimane un tipo di cinema che, sebbene legato alla cultura giapponese, riesce ad essere tutt’oggi godibile e divertente, chiaramente se vi piacciono certe robe.
Il capostipite del genere è considerato “Delinquent Girl Boss: Blossoming Night Dreams”, diretto da Kazuhiko Yamaguchi nel 1970, e interpretato da Reiko Oshida, primo di quattro film della serie “Delinquent Girl Boss”.
I registi più rappresentativi del Pinky Violence, Norifumi Suzuki a parte, sono considerati Yasuharu Hasebe, Teruo Ishii e Shunya Ito, mentre le attrici principali del filone sono considerate Reiko Ike, Miki Sugimoto e Meiko Kaji.
Punto a favore di Suzuki era lo stile più “occidentale” rispetto ad altri registi giapponesi, cosa che ha favorito la (limitata) distribuzione delle sue opere anche al di là del Pacifico. 
I suoi film, pur insistendo sulla tortura, ne attenuano la morbosità, grazie ad inquadrature raffinate che esaltano la bellezza delle attrici e sottolineano la complessità della messa in scena. 
Oltretutto, i suoi lavori non sono solo mere riprese di nudità e violenze fini a se stesse: sono pellicole spesso argute che non mancano mai di sollevare critiche alla società giapponese, alla politica e alla religione.
L’opera di Norifumi non si limita al solo Pink Violence: ha diretto inoltre egregiamente film di arti marziali, spesso interpretati dal divo Sonny Chiba, pellicole erotiche tout-court e commedie, anche se, quest’ultime, sono francamente troppo lontane dai nostri gusti per comprenderne lo spirito ed apprezzarne lo stile recitativo (davvero, non per cattiveria ma nun se posseno vedé...)
Ma non c’è dubbio che i suoi lavori più iconici siano proprio quelli con protagoniste le piccole “bad girls” del Sol Levante.

Norifumi Suzuki nasce nel 1933 a Shizuoka. 
Lascia gli studi di Economia presso la prestigiosa Ritsumeikan University per seguire la sua passione per il cinema.
Entra a far parte del Toyo's Kyoto Studio come assistente alla regia nel 1956, apprendendo il mestiere da Masahiro Makino, Tai Kato e Tomu Uchida. 
Debutta come sceneggiatore nel 1963 col film del regista Kōkichi Uchide, “Zoku: Tenamonya Sandogasa” (co-sceneggiato con Takaharu Sawada), ed esordisce alla regia nel 1965 con “Osaka Dokonjō Monogatari: Doerai Yatsu”, con Makoto Fujita. 
Su richiesta del produttore della Toei, Shigeru Okada, Suzuki scrive la sceneggiatura del film “Red Peony Gambler” (1968) con Junko Fuji, su una giocatrice d’azzardo, che diventerà una serie di grande successo che avrà sette seguiti.
Suzuki entra a pieno titolo nel suo ruolo quando Teruo Ishii, il patron della Toei, inizia a guidare la produzione della società verso il mercato del sesso e del sadismo con la serie “Joys of Torture”. Durante gli anni '70, Norifumi gira pellicole memorabili come Hot Spring Soap Geisha” (1972), “The Erotic Shogun and his Twenty-One Prostitutes” (1972), e soprattutto, nel 1971, dirige un pilastro del “Pinky Violence”, “Girl Boss Blues: Queen Bee's Counterattack”, primo di una serie di sette film, aventi per protagoniste un gruppo di ragazze ribelli e combattive, in cerca di vendetta. 
Il titolo più noto della serie è “Girl Boss Guerilla”, interpretato da Reiko Ike e da Miki Sugimoto, in cui il nostro si diverte a mostrare dei combattimenti tra adolescenti che si strappano i vestiti mostrando generose le loro grazie come mamma le ha fatte.
Il ritmo sostenuto, un sacco di topless biker girl, alcune sequenze di killer fight, e anche delle scene con fantastiche moto d'epoca, rendono questa pellicola una chicca per gli amanti del kitsch vintage.
Sempre del filone è la serie “Terrifying Girls' High School”, iniziata nel 1972: il primo si intitola “Women's Violent Classroom”, capostipite di quattro film, interpretati da Reiko Ike e da Miki Sugimoto. 
“Terrifying Girls' High School: Lynch Law Classroom” (1973), delinea definitivamente lo stile dei Pinky Violence, mostrando varie torture ai danni delle protagoniste, e criticando apertamente l'istituzione scolastica giapponese.
Questa miscela di stereotipi da women-in-prison movie, satira sociale e sado-masochismo a profusione, non è certo per tutti i gusti, ma ci sono le meravigliose attrici principali Miki Sugimoto e Reiko Ike e soprattutto c’è l’abilità dietro la macchina da presa di Suzuki che nobilita l’operazione, grazie al sapiente uso della cornice widescreen e di vari effetti sonori e di luci che sottolineano la natura paradossale della trama. 
Sempre del 1973 è il mitico “Sex and Fury”, con al centro un’eroina assai lontana dal cliché della femmina sottomessa e devota al maschio padrone: una donna indomita, combattiva, vendicativa, che uccide, usando il proprio corpo come arma, non solo di seduzione. 
La storia si svolge ai primi del Novecento, nella tarda era Meji, in un Giappone che sta uscendo dal suo millenario isolamento; la protagonista deve sopravvivere in un ambiente ostile e vuole a tutti i costi vendicare il padre. 
Sarà lotta spietata, all’ultimo sangue, con uomini corrotti, spie, criminali, spesso condotta a tette e cosce scoperte, come impongono le regole del genere.
“Sex and Fury” lancia anche la sua interprete Reiko Ike come icona del cinema popolare e di un nuovo modello di femminilità: bello come un fiore di pesco ma tosto come la lama di una katana. 
Nel 1975 dirige “The Killing Machine” (1975), un action a base di arti marziali con Sonny Chiba, e sempre lo stesso anno firma “Torakku Yarō: Goiken Muyō”, interpretato da Bunta Sugawara e co-scritto con Shinichiro Sawai, che sarà il maggiore successo del nostro e genererà ben nove sequel.
Conosciuta all’estero come “Truck Guy”, questa serie sentimental-scanzonata, incentrata sulle vicende di due camionisti, è un esempio di cosa considerano i giapponesi come divertente.
Per chi se la sente...
Molto più appetitoso per il pubblico Pulp è il morbosissimo nunsplotation “School of the Holy Beast” (1974), incentrato nel torbido mondo delle suore di clausura, dove il convento diventa una vera fornace di desideri carnali, autoflagellazioni e umiliazioni.
“Dario Argento incontra il Marchese de Sade” dichiara la taglina del film, ispirato dai deliri in tonaca di Ken Russell, Jesús Franco e Walerian Borowczyk, ma con la marcia in più della fantasia malata nipponica.
Con il suo uso poetico del colore e della composizione, Suzuki dimostra si essere di gran lunga il più dotato a livello estetico dei registi sexploitation della Toei, conferma questa sua abilità in film come il nazispoltation “Star of David: Beautiful Girl Hunter” (1979), dove riesce a rendere bellissime anche le più tremende scene di tortura.
“Bannai Tarao” è il nome di una serie mystery giapponese (il primo, “Seven Faces” viene realizzato nel 1946), con il detective omonimo in grado di assumere sette volti diversi.
Nella serie cinematografica, Bannai viene interpretato prima da Chiezō Kataoka, in undici film dal 1946 al 1960, poi da Akira Kobayashi in due film nel 1978, di cui uno diretto dal nostro Suzuki.
Nel 1981 gira “Roaring Fire”, un film di arti marzia interpretato da Hiroyuki Sanada, Etsuko Shihomi e Sonny Chiba, che coreografa pure le sequenze d'azione.
La pellicola vanta anche l'ex wrestler professionista Abdullah the Butcher, nel ruolo di villain che diventa poi alleato del protagonista.
Norifumi realizza poi “Igano Kabamaru” (1983), adattamento di una serie manga per ragazzi scritta e illustrata da Yū Adzuki; il protagonista è un ingenuo giovane ninja della provincia di Iga chiamato Kagemaru (ombra assoluta), soprannominato Kabamaru (bocca di ippopotamo) per il suo appetito insaziabile che, dopo la morte del suo severo nonno e sensei, si trasferisce a Tokyo con tutti gli equivoci del caso.
Dopo aver diretto e co-scritto “Kōtaro Makaritōru!” (1984), Suzuki lascia Toei per diventare freelance.
Al 1985 Yokohama Film Festival, gli viene assegnato un premio speciale per la sua carriera.
L'ultimo film di Norifumi è “Binbari High School”, uscito nel 1990 e prodotto da Kōji Wakamatsu. 
Il Maestro muore all'età di 80 anni nel maggio 2014.
Adesso non resta che sperare in una edizione decente in lingua italiana (o almeno sottotitolata) dei suoi film, così da poter finalmente godere anche noi delle (dis)avventure delle sue grintosa e bellissime fanciulle.
Onore a Norifumi Suzuki!

Nota a margine: per chi fosse interessato al genere Pinky Violence, altre celebri serie sono: “Sasori”, il cui primo film è “Female Prisoner #701: Scorpion”, diretto da Shunya Ito nel 1972, primo di una serie di dieci film che narrano la storia di Nami Matsushima, interpretata da Meiko Kaji, prigioniera in un carcere gestito da un sadico, che dovrà lottare duramente per riuscire ad evadere; la “trilogia di Rika”, composta da tre pellicole girate a basso costo tra il 1972 e il 1973, interpretato dall'omonima attrice nippo-americana Rika Aoki, e che hanno come protagonista la figlia di una prostituta giapponese vittima di uno stupro da parte di un americano.

Visto che ne parlavamo prima, niente di meglio oggi che una bella citazione da “Kill Bill”:

“La vendetta non è mai una strada dritta: è una foresta. E in una foresta è facile smarrirsi. Non sai dove sei né da dove sei partito.”
Hattori Hanzo/Sonny Chiba – Kill Bill

Almanacco Pulp dei Mutzhi Mambo

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