Festa mesta, festa triste...
Triste perché oggi sarebbe stato il compleanno di JEFFREY LEE PIERCE, uno dei più grandi rocker della storia.
Sarebbe... se la sorte (ma più che altro gli abusi...) non ce lo avesse fatto crepare troppo in anticipo.
Impossibile qui tratteggiare anche solo approssimativamente la sua figura e la sua enorme influenza sulla scena degli anni ottanta.
Diciamo solo, cari amici dei Mutzhi Mambo, che è stato uno dei poeti maledetti del rock'n'roll, un personaggio vero che, come pochi altri, ha saputo trovare una sintesi perfetta tra musica e testi, in quel crocevia dannato dove blues, psychobilly, punk e no-wave fanno marcire i sogni dei ragazzini ammodo…
Almeno i primi tre dischi dei Gun Club dovrebbero figurare tra gli ascolti obbligatori per chi vuol suonare la musica del diavolo!
Diavolo che però stavolta ha avuto troppa fretta, se l'è portato via troppo presto...
Jeffrey Lee Pierce, texano di El Paso ma corrotto da Los Angeles, maledetto dal blues, si è prima perso e poi spento nelle strade di quell'America cinica e maledetta che aveva cantato con tanta struggente amarezza.
La malvagia, incantevole miscela di culture blues, rockabilly, country e punk, avvolta nei tormentati messaggi criptici di Pierce, segna un importante punto di passaggio dal totale disprezzo per tutto dei primi punk a una più matura depressione esistenziale, soprattutto perché si immerge nell'esplorazione dei punti di contatto fra il ritualismo metropolitano e il tribalismo primitivo, uno dei temi chiave degli anni Ottanta.
Pierce è forse la figura più carismatica del riflusso verso la tradizione seguito al punk-rock.
I suoi Gun Club prendono lo spunto dal "voodoobilly" dei Cramps per addentrarsi nel mondo misterioso del profondo Sud, dal Delta di Robert Johnson alla giungla della Florida.
I Gun Club demonizzano il blues così come i Cramps avevano demonizzato il rockabilly.
Allo spirito goliardico e iconoclasta dei Cramps si contrappone però il cupo e tragico mood di Pierce, che fa sul serio ciò che Lux Interior fa per beffa.
Venne chiamato il Faust del punk e forse l'anima al demonio l'ha venduta davvero!
Cantava nel modo cupo e suadente che aveva imparato da Lou Reed e Jim Morrison, anzi probabilmente da prototipi più ancestrali, mentre la sezione ritmica dei suoi Gun Club incalzava con cadenze da cerimoniali esoterici.
Il repertorio era diviso fra rock'n'roll poderosi e demoniaci (modello New Orleans piuttosto che Chicago), blues-rock ipnotici e anfetaminici e ballate truci radicate nel clima rurale del Sud.
I testi rigurgitavano di riferimenti al mondo impenetrabile della giungla, ai suoi riti occulti, alle leggende popolari.
Pierce è stato uno di quelli che hanno definitivamente "sporcato" il rock'n'roll, che l'hanno drammatizzato scavando fosse nelle sue radici…
Jeffrey Lee Pierce nasce a Montebello, nella contea di Los Angeles, il 27 giugno del 1958.
La madre è originaria del Messico.
Da adolescente, Pierce si trasferisce da El Monte, un sobborgo industriale a est di Los Angeles, alle colline di Granada, nella valle di San Ferdinando; all’epoca sono un sobborgo "bianco" di middle-class.
Frequenta la High School di Granada Hills, dove partecipa ai corsi di teatro e di letteratura.
Le influenze musicali del nostro, in questo periodo, tendono verso il glam e il prog-rock, ed è particolarmente appassionato di band come Sparks, Genesis e Roxy Music.
Durante la metà degli anni '70, dopo aver visto Bob Marley dal vivo, Pierce si appassiona talmente di reggae che, alla fine se ne va in Giamaica per esplorare la terra d’origine di questo genere musicale, un viaggio che lo lascia con un sentimento ambivalente sulla cultura musicale americana.
La sua infatuazione per il reggae si sovrappone all'emergere del punk rock di cui Jeffrey diventa animatore della scena di Hollywood sia come scrittore per la fanzine “Slash” sia, in misura minore, come musicista.
Si fa poi promotore del movimento No-Wave di New York.
Pierce, deluso dal rapido declino del punk che diviene sempre più formale e di facciata, trova che comunque il reggae è, in ultima analisi, un prodotto d’importazione e non può essere preso ad esempio di musica autenticamente americana.
Il nostro trova così nel Delta Blues l'equivalente statunitense dell’autenticità e della semplicità del reggae perché più profondamente radicato nella storia e nella cultura a stelle e strisce, e decide di ripensarlo alla luce della sua poetica decadente e malata.
Alla fine degli anni '70, Pierce ha ormai definito il suo stile musicale e sviluppato una personalità teatrale che sarebbe diventata un elemento essenziale nei Gun Club.
Nelle prime fasi della sua carriera, riceverà sostegno da Debbie Harry, conosciuta in quanto è presidente del fan club dei Blondie, che si dimostra convinta del suo potenziale come musicista e artista.
Il primo nucleo della band si chiama The Creeping Ritual, e comprende Pierce, il chitarrista Brian Tristan (poi noto come Kid Congo Powers), il bassista Don Snowden (già critico musicale per il Los Angeles Times) e il batterista Brad Dunning.
Su suggerimento del cantante dei Circle Jerks, Keith Morris, la band cambia nome in The Gun Club.
Insieme al nome, Pierce decide di cambiare anche formazione, prendendo il chitarrista Ward Dotson (al posto di Kid Congo Powers, che nel frattempo era entrato nei Cramps), il bassista Rob Ritter ed il batterista Terry Graham, questi ultimi due già membri dei The Bags.
Nel 1981, la band pubblica lo straordinario, “Fire of Love”, disco che mischia il blues tradizionale con il punk rock, e che ha grande influenza soprattutto sullo sviluppo del garage rock e dello psychobilly a venire.
Questo debutto contiene pietre miliari come “Sex Beat”, “For The Love Of Ivy”, “Ghost On The Highway”, “She’s Like Heroin”, “Black Train” e “Goodbye Johnny”, ed è ampiamente considerato dalla critica una delle pietre miliari del rock'n'roll degli anni '80.
Nel 1982, viene pubblicato il secondo album, “Miami”, anch'esso con ottimi riscontri da parte della critica.
Il clima di horror soprannaturale prevale sulle pulsioni violente e il country fa capolino nella ferocia punk-rock.
Il disco risulta più equilibrato, ma al tempo stesso perde qualcosa della forza dirompente dell'esordio.
Si segnalano, fra tutte, “Carry Home”, “Devil in the Woods”, “Sleeping In Blood City” e “Texas Serenade”.
Nel 1983, Pierce cambia di nuovo formazione, assumendo il batterista Dee Pop e il chitarrista Jim Duckworth, e pubblica l'EP “Death Party”, cupissimo e ormai distante dai furori punk di “Fire of Love”.
Nel 1984, la defezione di tutti i membri della band costringe Jeffrey a riassumere il batterista Graham e Kid Congo Powers, oltre alla nuova bassista Patricia Morrison.
Con questa formazione, viene pubblicato, nello stesso anno, il terzo LP, “Las Vegas Story”.
Il ritmo si fa più lento, meditato e minaccioso, subdolo e angoscioso.
Le sette canzoni di Pierce profumano sempre di tradizioni arcaiche nei ritmi e nei testi, e la sua voce si avventa glaciale e demoniaca sui versi come una forza del destino, si avvinghia alle proprie storie con cinismo e passione liberando i fantasmi che lo assillano, ma è più che mai succube di quelli interiori che ne ossessionano la psiche.
Dopo l'uscita di questo disco e un tour, la band si scioglie.
Pierce pubblica un album solista, “Wildweed” (1985), che, nonostante un arrangiamento da discoteca (soprattutto per via del battito pressoché metronomico di tutti i brani), si rivela è un'altra potente raccolta di ballate dolenti, di meditazioni di un loser nel vuoto esistenziale della società moderna.
Jeffreý si avvicina alla canzone nevrotica di Tom Verlaine dei Television e talvolta sembra proporsi come un John Fogerty in versione tragica e amelodica.
Forte di uno stile ancor più ballabile, con l'EP “Flamingo” (1986), uscito sempre a suo nome, si permette di sperimentare armonie più evolute in “Get Away” e addirittura dissonanze, elettronica e free jazz nella title-track.
Apparentemente ripulito dall’eroina, Pierce riforma i Gun Club lo stesso anno con la bassista Romi Mori (all’epoca anche sua compagna) e il batterista Nick Sanderson in aggiunta a Kid Congo, e pubblicano, nel 1987, un nuovo LP, “Mother Juno”, altro lavoro di classe e altro capitolo dove il nostro Jeffrey continua a dimostrarsi un crooner malato di un paese malato.
Nel 1988, Kid Congo Powers suona pure con Nick Cave and The Bad Seeds, con cui pubblicherà “Tender Prey” e “The Good Son”.
In questi anni, Pierce comincia ad avere seri problemi di salute dovuti anche all’alcolismo, ma la band pubblica comunque altri due dischi, i deludenti “Pastoral Hide and Seek” nel 1990, e “Lucky Jim” (questo senza più Kid Congo) nel 1993, oltre all'EP “Divinity”.
Nel 1992 esce anche “Ramblin’”, che più che essere un nuovo lavoro solista di Pierce, è una raccolta di cover blues.
Piano piano tutti i membri dei Gun Club si licenziano, lasciando solo Pierce, che comunque non scioglie il gruppo, mostrandosi sporadicamente in pubblico, e cadendo nell'abuso sempre maggiore di alcool e droga e minato da ulcera ed epatite.
Dopo aver riformato la band un'ultima volta nel 1995, e aver suonato con questa un concerto in un famoso locale di Los Angeles, il "Viper Room", Pierce muore per emorragia cerebrale, il 31 marzo del 1996.
Dal 2010 è iniziata ad uscire una serie di dischi intitolati “The Jeffrey Lee Pierce Sessions Project”, a cura del suo vecchio collaboratore Cipressa Groove.
Sono completamenti di brani di Pierce rimasti incompiuti tratti da archivi, cassette, master inutilizzati o rifacimenti dei suoi pezzi già editi eseguiti da altri artisti.
Ora,confessiamo che queste operazioni postume di solito non ci piacciono per nulla, le troviamo comunque abusive, ma bisogna ammettere che la lista degli artisti coinvolti è veramente impressionante: Nick Cave, Debbie Harry, Iggy Pop, Kid Congo Powers, Lydia Lunch, Mick Harvey, Tex Perkins, Isobel Campbell, Jim Sclavunos, Mark Lanegan, Hugo Race, Thurston Moore e i Primal Scream.
Via, caro, Jeffrey, con una lista così a renderti omaggio, non ti potrai certo lamentare!
Certo, però, se il Diavolo avesse avuto un po’meno fretta…
Onore a Jeffrey Lee Pierce!
Nota a Margine: Nel Maggio 2017 è uscito per la Bang! Records il “nuovo” album dei Gun Club, “In My Room” che, a dispetto del titolo non è un album di nastri casalinghi, ma una raccolta di pezzi (fra cui diverse cover) registrati in Olanda e Belgio fra il 1991 e il 1993, con le ultime effimere incarnazioni dei Club.
"Johnny's got a light in his eyes and Shirley's got a light on her lips
Jakes got a monkeyshine on his head and Debra Ann's got a tiger in her hips
they can twist and turn they can move and burn
they can throw themselves against the wall
but they creep for what they need
and they explode to the call and then they move
move
Sex beat, go…"
The Gun Club - Sex Beat