Signore e Signori, all’angolo destro, lo “Stallone Italiano”!
Sì, avete capito bene, cari amici dei Mutzhi Mambo, oggi festeggiamo il granitico SYLVESTER STALLONE, il “Supereroe de noantri”!
Sylvester Stallone ha incarnato come nessun altro la retorica del proletario sempliciotto che vince contro tutto e tutti a suon di sganassoni e smitragliate, l’anima pura che ce la fa contro il “sistema” e i “poteri forti” grazie al suo buon cuore e ai suoi muscoli coltivati col duro lavoro e la tenacia del vero eroe americano!
Non ce n’è per nessuno: campioni blasonati e arroganti, komunisti kattivi, kriminali krudeli, tutti vengono spazzati via dai bicipiti poderosi del nostro Stallone!
E poco importa che interpreti il pugile di quartiere, il reduce alienato, il camionista sfigato, il poliziotto emarginato: Sylvester vince sempre e comunque!
Perché lui è il “bene” e gli altri sono il “male”, e il “bene” vince sempre sul “male” (almeno nei suoi film!).
Moro e tarchiato com’è, non c’è nulla di più lontano dal modello ideale WASP che fa tanto “God Bless America” ma nessuno come lui ha saputo impersonare l’ideale più trito e banale della retorica a stelle e strisce.
È talmente manichea la sua “maschera” da essere involontariamente comica, profondamente Pulp, però bisogna ammettere che i suoi film, al netto della fastidiosa retorica che di solito li contraddistingue, sono sempre spettacolari, appassionanti, divertenti, violenti al punto giusto.
Merito del suo innegabile carisma e della sua bravura nello scegliersi ruoli adatti alla sua “fisicità”; e poi, bisogna dire che è più bravo di quello che ha saputo mettere in campo.
Peccato che non abbia dimostrato quell’autoironia e quella voglia di mettersi in discussione che altri attori con caratteristiche simili, come ad esempio Kurt Russell o Arnold Schwarzenegger, hanno saputo sfoggiare, specie a fine carriera.
Ma ne ha fatta di strada il nostro, dal film soft-porno dell’esordio alle mega produzioni hollywoodiane, però, purtroppo, non è stato mai capace di mettere in discussione il suo cliché, perfino ora che il fisico è visibilmente tenuto su artificialmente da steroidi e plastiche facciali.
A onor del vero, nella fortuna ha avuto anche parecchia sfiga il nostro: un figlio autistico e uno morto giovane sono più di quanto un padre possa sopportare…
Sylvester Gardenzio Stallone nasce a New York, il 6 luglio del 1946.
Figlio di un parrucchiere emigrato siciliano divorziato e di un'astrologa, fratello dell'attore e cantante Frank Stallone, Sylvester ha delle complicazioni al momento della nascita che gli causano una paralisi del lato sinistro del volto e gli stampano in faccia il suo famoso ghigno strafottente.
Cresce nella zona popolare di Hell's Kitchen di New York, si becca il soprannome "Sly", all'età di cinque anni.
Si trasferisce in Maryland con i suoi genitori, ma quando divorziano, segue sua madre e il suo nuovo marito, un pizzaiolo, a Philadelphia.
Negli anni Cinquanta frequenta la Notre Dame Academy (una scuola privata cattolica di stampo svizzero), cui seguirà la Lincoln High School (mai completata) e la Devereux Manor High School.
Sembra impossibile ma da adolescente soffre di problemi legati al rachitismo...
Paradossalmente, entrerà poi all’Università di Miami grazie a una borsa di studio vinta per meriti sportivi!
Qui sceglie la facoltà di arte drammatica e recita anche in alcuni spettacoli studenteschi.
Ma nel 1969 decide di abbandonare il suo corso di studio e di tornare nella sua città natale, New York.
La laurea gli verrà conferita solo honoris causa nel 1999.
Abile nella scrittura di sceneggiature, inizialmente non viene apprezzato; debutta quindi come attore, nel 1970, quando viene scelto per le sue doti fisiche come uno degli interpreti della pellicola soft-core “Porno proibito” (ridistribuito poi come “The Italian Stallion”, vista la fama raggiunta dal protagonista), dove... dà il meglio di sé per 200 dollari e due giorni di riprese.
Ironia della sorte, il primo ruolo da protagonista del futuro Rambo è quello di uno studente che compie atti di terrorismo per protestare contro la guerra in Vietnam, nel thriller “Fuga senza scampo” (1970), di Robert Allen Schnitzer.
Seguono le comparsate in “Il dittatore dello Stato libero di Bananas” (1971) di Woody Allen e “Una squillo per l'ispettore Klute” (1971) di Alan J. Pakula, e svariate e sfortunate audizioni, come quella per “Il padrino” di Coppola.
Per campare lavora come buttafuori, pulitore delle gabbie dei leoni nello zoo di Central Park e venditore di biglietti al Baronet Theatre ma insiste con ostinazione a scrivere sceneggiature.
Dalla sua penna nasce la pellicola di Martin Davidson e Stephen Verona “Happy Days - La banda dei fiori di pesco” (1974), una insulsa vicenda di teddy boys dal cuore d’oro, interpretata a fianco di Paul Mace: il film, naturalmente, non se lo fila nessuno.
Richard Fleischer lo inseririsce nel cast di “Mandingo” (1975), ma poi taglierà la scena dove Stallone appare, mentre il nostro si vede, e bene, nel distopico “Anno 2000 - La corsa della morte” (1975), diretto da Paul Bartel e prodotto da Roger Corman.
Nella scalata al successo, la sfortuna sembra perseguitarlo, ma lui non demorde.
Scrive la sceneggiatura di “Rocky” (1976), la storia di un proletario sfigato che diventa fortunosamente campione del mondo di boxe, e riesce a convincere due produttori (Winkler e Chartoff) a tirare fuori i soldi per realizzarlo: l'impresa riesce alla grande!
Stallone sale sul ring e diventa il pugile più famoso della storia del cinema, il simbolo del sogno americano alla portata di tutti.
Alla regia il bravo John G. Avildsen.
La pellicola fa guadagnare a Stallone la nomination all'Oscar come miglior attore protagonista e quella per la miglior sceneggiatura diventando la terza persona al mondo (dopo Chaplin e Welles, figuriamoci…) ad avere queste due candidature nello stesso anno, e il David di Donatello come Miglior Attore Straniero.
Improvvisamente, quel viso semiparalizzato da bulletto deficiente non è più un handicap, diventa il divo più popolare del mondo e scala il successo nella Hollywood reaganiana degli anni Ottanta lanciando la saga di cinematografica di Rocky (1976-2006), altri quattro capitoli che dirigerà personalmente (tranne il quinto), rimanendo però prigioniero di quel personaggio e di ruoli legati unicamente ai muscoli.
Rifiuta la parte che poi andrà a Jon Voight (per la quale verrà premiato con l'Oscar) in “Tornando a casa” (1978), preferendo Norman Jewison e il suo “F.I.S.T.” (1978), egregio film che si ispira in modo non ufficiale alla parabola del sindacalista legato alla mafia Jim Hoffa, naturalmente edulcorando la vicenda dalle sue collusioni criminali.
Arriva anche la sua prima regia, “Taverna Paradiso” (1978), un amaro ritratto dei bassifondi dei primi del ‘900 visti con gli occhi dei proprietari di un postribolo che si danno agli incontri di wrestling semiclandestini, il tutto condito da un prezioso cameo di Tom Waits.
Stallone sarà poi diretto da John Huston in “Fuga per la vittoria” (1981) con Michael Caine, Max von Sydow e Pelé: è ispirato ad una storia vera ma sembra un remake in salsa calcistica de “La Grande Fuga”.
Per la parte del portiere dell’improvvisata squadra di prigionieri, Sly si impegna a fondo, tanto da rompersi un dito parando una “fucilata” di Pelé e da slogarsi più volte la spalla durante le riprese, tutte rigorosamente senza controfigura.
Lo stesso anno è il protagonista del tiratissimo thriller “I falchi della notte”, di Bruce Malmuth, nella parte di uno sbirro dal look fra Serpico e il Commissario Giraldi, che combatte contro un diabolico terrorista impersonato da Rutger Hauer.
Sicuramente, a nostro avviso, il miglior prodotto della sua filmografia.
Caso vuole che l’anno successivo incappi in un altro eroe che sarà campione di incassi al botteghino: “Rambo” (1982) di Ted Kotcheff.
La storia è di un reduce del Vietnam, un vero disadattato malinconico e deluso, vessato dai soprusi e gli abusi dello sceriffo di una cittadina di montagna, che esplode in tutta la sua furia omicida contro chi tenta di farlo fuori: questo ruolo gli fa guadagnare 18 miliardi e darà luogo alla seconda saga della sua carriera che durerà fino al 2008.
Peccato che gli altri tre capitoli delle gesta di John Rambo perdano per strada l’implicita vena protestataria del primo per diventare lo sfoggio supremo della muscolarità bellica made in USA.
Dopo aver diretto John Travolta in “Staying Alive” (1983), loffio sequel della vita del Tony Manero de “La febbre del sabato sera”, e rifiutato poi il ruolo del detective Axel Foley di “Beverly Hills Cop” (parte che poi andrà a Eddie Murphy), divorzia dalla moglie dopo undici anni di matrimonio, all'interno dei quali ha avuto due figli (l'autistico Seargeoh "Seth" e l'attore Sage Stallone, che lavorerà con il padre in alcuni film), per risposarsi con la stangona Brigitte Nielsen, conosciuta sul set di “Rocky IV”, anche se l'unione dura solo due anni.
Con la statuaria mogliettina gira anche il trashissimo poliziesco “Cobra” (1986), di George P. Cosmatos (già resposabile dell’orrido “Rambo II”), mentre l’anno successivo è un patetico camionista che riconquista la stima del figlio a suon di sfide a braccio di ferro nel melenso “Over the Top”, di Menahem Golan.
Rifiutato inspiegabilmente il ruolo di John McClane in “Die Hard” (1998), parte che farà la fortuna dell’amico Bruce Willis, sceglie di affiancare Kurt Russell nel discreto poliziesco “Tango & Cash” (1989) di Andrej Končalovskij.
Stufo dei soliti ruoli action opta per commedie come “Oscar - Un fidanzato per due figlie” (1991), con la nostra Ornella Muti e diretto da John Landis, e “Fermati, o mamma spara” (1992) di Roger Spottiswoode.
Ma la commedia non è il pane del nostro Sly…
Nonostante la sua carriera inizi a subire forti battute di arresto per quello che riguarda la popolarità, dall'anno seguente, sforna un blockbuster dietro l’altro come: “Cliffhanger” (1993), di Renny Harlin, il fantascientifico “Demolition Man” (1993), di Marco Brambilla, dove fra l'altro, mostra i suoi “attributi” in una scena di nudo frontale, il thriller “Lo specialista” (1994), di Luis Llosa, famoso per una scena di sesso sotto la doccia con Sharon Stone, il poco riuscito “Dredd - La legge sono io” (1995), di Danny Cannon, loffio adattamento del noto comic inglese, “Assassins” (1996) di Richard Donner, in cui divide la scena con Antonio Banderas, e il claustrofobico “Daylight - Trappola nel tunnel” (1996) di Rob Cohen.
Dopo alcuni flirt (le modelle Angie Everhart, Janice Dickinson e Andrea Wieser), sposa Jennifer Flavin, nel 1997, madre delle sue tre figlie: Sistine Rose, Sophie Rose e Scarlet Rose Stallone.
Buon amministratore dei molti miliardi raccolti con i suoi successi commerciali, investe nella catena di ristoranti «Planet Hollywood», come socio di Bruce Willis e Arnold Schwarzenegger, e nell'arte, collezionando Magritte, Degas, Bacon e Rodin.
Affianca Ray Liotta, Harvey Keitel e Robert De Niro nel bellissimo noir “Cop Land” (1997) di James Mangold, nella parte di un imbolsito sceriffo alle prese con una congrega di sbirri corrotti, probabilmente il suo ruolo migliore di questa fase crepuscolare.
Dopo la morte del suo migliore amico, l'attore Phil Hartman, si trasferisce in Inghilterra.
Plurivincitore di Razzie Award come peggior attore (ne ha collezionato così tanti che nel 2000 gli viene conferito il premio come peggior attore del secolo!), torna al cinema con il remake del thriller “La vendetta di Carter” (2000) di Stephen Kay, nell’action “Driven” (2001), di Renny Harlin, e nel noir “D-Tox” (2002), di Jim Gillespie (2002); poi ha un piccolo ruolo nel terzo capitolo della trilogia “ Spy Kids” (2003) ideata da Robert Rodriguez.
Si lancia anche nel campo dell'editoria come giornalista fondando il bimestrale “SLY”, che però ha vita breve, solo 3 numeri, perché non riesce a trovare pubblicità.
Nonostante i proclami in cui dichiarava che non avrebbe più messo mano ai suoi personaggi più celebri, nel 2006 torna davanti e dietro alla macchina da presa per interpretare e dirigere “Rocky Balboa”, mentre due anni dopo dirige e interpreta “John Rambo”.
Il 16 febbraio 2007 Stallone, in Australia per promuovere “Rocky Balboa”, viene fermato dai funzionari doganali all'aeroporto di Sydney: viene trovato in possesso di steroidi anabolizzanti illegali come 4 fiale di testosterone e 48 di Somatotropina, noto anche col nome GH (Growth Hormone), cioè Ormone della Crescita.
Viene incriminato con l'accusa di importazione illegale di sostanze proibite e finisce sotto processo.
Stallone riconosce la sua colpevolezza per uso di sostanze dopanti, sostenendo che sono composti da lui utilizzati durante la sua oltre trentennale carriera di attore anche per il loro potere curativo contro alcune malattie della vecchiaia…
Nel 2010 ha la buona idea di riunire diversi vecchi eroi del cinema action (come Jason Statham, Jet Li, Dolph Lundgren, Mickey Rourke e Bruce Willis) ne “I Mercenari”, serie che vedrà due seguiti, diretti da Simon West nel 2012 e da Patrick Hughes nel 2014.
Viene diretto dall’inossidabile Walter Hill in “Jimmy Bobo - Bullet to the Head” (2012), divertente adattamento della graphic novel “Du plomb dans la tête” del fumettista e scrittore francese Alexis Nolent.
Lo stesso anno perde suo figlio Sage, morto a soli 36 anni: inizialmente si parla di overdose ma in realtà è vittima di un infarto per cause naturali.
Magra consolazione per papà Stallone…
Nel 2013 sarà protagonista, insieme al suo eterno rivale Schwarzenegger, del film di Mikael Hafström “Escape Plan - Fuga dall'inferno”, dove è un esperto di sicurezza delle strutture carcerarie, e de “Il grande match” diretto da Peter Segal, in cui recita al fianco di Robert De Niro .
Torna a vestire i panni di Rocky Balboa nel tremendo spin off del film “Creed - Nato per combattere” (2015), diretto da Ryan Coogler, grazie al quale però ottiene un Golden Globe come miglior attore non protagonista.
Nel dicembre 2016 viene annunciato che Donald Trump, neo Presidente eletto degli Stati Uniti d'America, vorrebbe Stallone per la presidenza del “National Endowment for the Arts”, l’agenzia federale che offre supporto e fondi ai più promettenti progetti artistici, dal cinema alla letteratura ma il nostro declina l’offerta, dichiarando che preferirebbe occuparsi dei reduci.
Nel 2017 entra finalmente nell’universo Marvel col ruolo di Stakar Ogord in “Guardiani della Galassia Vol. 2”, di James Gunn.
Forza Sly, non ti resta che interpretare un cattivaccio di quelli tremendi per entrare definitivamente nei nostri cuori.
Ce la puoi fare: in fondo sei o non sei un campione?
Tanti auguri a Sylvester Stallone!
“Tu sei il male! Io sono la cura!”
Marion Cobretti/Sylvester Stallone - Cobra