Veramente, se è esistito uno con la faccia e il physique du rôle per fare il noir, questi è proprio il roccioso LINO VENTURA, il più importante interprete (insieme a Jean Gabin) della gloriosa stagione del polar, il noir francese.
Una faccia che non ti scordi, cari amici dei Mutzhi Mambo, da uno che ne ha passate tante ed è meglio non rompergli i coglioni; un fisico massiccio da lottatore, gli occhi indagatori, la voce profonda e il modo di fare insieme timido e brusco, gli hanno appiccicato professionalmente, in modo indelebile, il ruolo di "duro".
Angiolino Giuseppe Pasquale Ventura (così all'anagrafe) nasce a Parma il 14 luglio del 1919 e a otto anni si trasferisce con la famiglia a Parigi e rimane a vivere Oltralpe, ma non ha mai voluto diventare cittadino francese.
Non ha una vita facile prima di fare l'attore: figlio di immigrati, ancora bambino si barcamena in mille mestieri nella tentacolare capitale francese.
Esercita i lavori più disparati (cameriere, meccanico, rappresentante) e diventa campione di lotta greco - romana e un professionista di lotta libera.
Superati i trent'anni, anche a seguito di un incidente, decide di abbandonare il ring per lavorare come organizzatore di incontri.
Il produttore E. Cassuto però gli propone un provino per la parte del gangster “cattivo” di “Grisbi” (1954) e la faccia di Ventura convince immediatamente il regista Jacques Becker.
Il nostro Lino si impone presto come caratterista di spicco del noir francese, in parti di bandito o poliziotto; fa della naturalezza, nonché di un'intensità non costruita attraverso tecniche di recitazione, la sua cifra stilistica diventando l'interprete perfetto per caratterizzare i personaggi del polar.
Tra gli anni Cinquanta e i Sessanta è uno dei volti più amati, protagonista di alcuni grandi successi, in ruoli da criminali, come il Davos di “Asfalto che scotta” (1960) di Claude Sautet o il Gu Minda di “Tutte le ore feriscono… l'ultima uccide” (1966) di J.-P. Melville, oppure poliziotti come l'ispettore Chérier di “Ascensore per il patibolo” (1957) di Louis Malle o l'ispettore Le Goff del grande successo “Il clan dei siciliani” (1969) di Henri Verneuil.
E ancora vanno segnalati almeno il grottesco noir “Pensione Edelweiss” (1959), diretto da Ottorino Franco Bertolini e Víctor Merenda, il gangster movie “I cavalieri della vendetta” (1963), di Carlos Saura, e il thriller “Corpo a corpo” (1965), di Claude Sautet.
Nel definire i suoi personaggi, l'attore preferirà seguire sempre l'istinto piuttosto che affidarsi alla tecnica, accettando esclusivamente ruoli che considera dotati di spessore umano, o comunque di un codice morale, senza disdegnare le figure comiche.
Non a caso, i primi riconoscimenti e la conseguente popolarità arrivano con due commedie, “Il gorilla vi saluta cordialmente” (1958) di Bernard Borderie e soprattutto “In famiglia si spara” (1964) di Georges Lautner, sceneggiato da una delle più brillanti penne dell'epoca, Michel Audiard.
Negli anni Settanta Ventura privilegia parti da sconfitto, come il commissario Leonetti di “Ultimo domicilio conosciuto” (1970), di José Giovanni, il cinico gangster Vito Genovese in “Joe Valachi - I segreti di Cosa Nostra” (1972), di Terence Young, il prete manesco Padre Charlie in “Uomini Duri” (1974), di Duccio Tessari, o il poliziotto vittima della strategia della tensione di “Cadaveri eccellenti” (1976), di Francesco Rosi: uomini d'ordine il cui idealismo è minacciato, se non addirittura annientato, dai compromessi della politica e dalla corruzione della vita sociale.
Nel 1978 è il co-protagonista, a fianco di un tenebroso Richard Burton, del thriller paranormale “Il tocco della medusa”, diretto da Jack Gold.
Ancora un ruolo di poliziotto malinconico in “Guardato a vista” (1981), di Claude Miller, esempio magistrale di cinema da camera dove l'attore saprà confrontare la propria ruvida autenticità interpretativa con l'aristocratica eleganza di Michel Serrault e con la tormentata raffinatezza di Romy Schneider.
Negli anni successivi, dirada gli impegni professionali, insoddisfatto delle sceneggiature he gli vengono proposte, e si allontana sempre più dal cinema.
Accetta però con entusiasmo di interpretare il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa nel film “Cento giorni a Palermo” (1984) di Giuseppe Ferrara, il cui insuccesso contribuisce al suo definitivo isolamento.
Padre di quattro figli, fra cui una bambina affetta da autismo, l'attore si impegna moltissimo nella tutela dei bambini portatori di handicap.
Nel 1966 aveva fondato con la moglie l'associazione Perce-Neige, tutt'oggi attiva nell'assistenza ai bambini disabili e alle loro famiglie.
Il maestoso Lino muore il 22 ottobre del 1987 per un infarto improvviso.
Una vita non facile, quella di Lino, ruvida come il suo sguardo.
Si spiega dunque la sua faccia un po'così, unica e irripetibile, fra il malinconico e il minaccioso, che rimarrà per sempre il simbolo di una stagione cinematografica favolosa, dove i duri erano duri e i cattivi, cattivi.
Ma sempre umani…
Buon compleanno Lino, ovunque tu sia adesso!
Visto che oggi è pure il compleanno del grande scrittore e cuoco sopraffino MANUEL VÁZQUEZ MONTALBÁN (14 luglio 1939 – 18 ottobre 2003) , la citazione è sua:
"Il personaggio aveva la dose sufficiente di mistero perché una donna gli rimanesse attaccata come gli uccelli alle fronde di un albero."
Manuel Vázquez Montalbán - Tatuaggio