La voce più triste e malinconica del Novecento è lei: BILLIE HOLIDAY. Anzi, visto che di registrazioni più antiche non ce ne sono e che, per ora, questo millennio sta producendo solo schifezze, diciamo pure la voce più malinconica e triste in assoluto!
La sua famigerata vita privata (una serie agghiaccante di relazioni violente, tossicodipendenze e periodi di depressione), ha aiutato senz'altro la nascita del “mito” Billie Holiday ma le sue migliori interpretazioni ("Lover Man", "Do not Explain", "Strange Fruit", "God Bless the Child") rimangono tra le performance vocali più sensibili e straordinarie mai registrate.
Anche se il rock era ancora lontano dal nascere, la Holiday è stata praticamente la prima “rockstar” maledetta, colei che ha tracciato il solco su cui si accoderanno più tardi tante anime dannate, le personalità più sofferte e drammatiche che caratterizzeranno la tremenda storia della “musica del diavolo”.
Più che l’abilità tecnica, più che la purezza della voce, ciò che ha reso Billie Holiday una delle migliori interpreti del secolo è stata la sua enorme personalità, il suo temperamento inesorabilmente individualista, una qualità che rendeva ogni sua performance ricca di sfumature irripetibili.
A quasi sessant’anni dalla sua morte, è difficile credere che prima della sua comparsa, i cantanti jazz e pop fossero assolutamente legati alla tradizione di interpretare i pezzi nella massima correttezza e raramente personalizzassero le loro canzoni; solo le grandi cantanti blues come Bessie Smith e Ma’ Rainey davano l'impressione di aver vissuto quello che stavano cantando.
La versione così intensa e sofferta di questa tradizione blues data da Billie Holiday ha rivoluzionato il modo stesso di cantare la musica popolare.
Bessie Smith non è nata dal niente: ammetterà i suoi debiti verso la potenza vocale dell’ “imperatrice” del blues Bessie Smith e verso il sentimento della tromba di Louis Armstrong e del sax di Lester Young (diceva spesso che cercava di cantare come fosse una cornetta) ma in realtà il suo stile era praticamente unico, personalissimo, un caso dirompente in un'epoca caratterizzata dall’intercambiabilità dei vocalist nelle orchestre.
Con la sua anima che brillava in ogni registrazione, la voce della Holiday eccelleva anche in confronto alla grande maggioranza dei suoi contemporanei.
Spesso annoiata dalle solite vecchie canzoni in stile Tin Pan Alley (cioè del repertorio banale che veniva richiesto ad ogni cantante) che fu costretta a registrare all'inizio della sua carriera, Holiday è riuscita a giocare con il ritmo e la melodia, spesso rinnovando profondamente la linea melodica dei pezzi standard con armonie prese in prestito dai suoi musicisti preferiti.
Eleanora Fagan Gough (così all'anagrafe) nasce il 7 aprile del 1915 (anche se alcune fonti indicano il 1912).
Suo padre, Clarence Holiday, è un bravo chitarrista jazz e un suonatore di banjo che più tardi entrerà a far parte dell'orchestra di Fletcher Henderson.
Non sposerà mai sua madre, Sadie Fagan, e se ne va che sua figlia è ancora piccola.
In seguito Bessie ri-incontrerà il padre a New York e, nonostante in quel periodo mettesse sotto contratto diversi chitarristi per le sue performance, eviterà sempre di suonare con lui.
La madre di Holiday è ancora una ragazzina quando rimane sola e, sia per inesperienza che per negligenza, spesso lascia la bambina a dei parenti che pero non se ne occupano per niente.
La Holiday viene condannata a frequentare un riformatorio cattolico all'età di dieci anni, dopo aver ammesso di essere stata violentata.
Vergogna, vergogna, ragazzaccia!
Sebbene le venga imposto di rimanere nell’istituto correttivo fino a quando non diverrà adulta, un amico di famiglia contribuisce a farla rilasciare dopo due anni.
Con sua madre, si trasferisce nel 1927, prima nel New Jersey e poco dopo a Brooklyn.
A New York, la Holiday aiutato a svolgere dei lavori come domestica,lavava le scale dei vicini, ma presto inizia a lavorare nei bordelli come prostituta per arrotondare il bilancio.
Condannata a quattro mesi per prostituzione, una volta libera cerca lavoro come ballerina in un locale notturno. A dimenare le anche non è granché ma a cantare....
Viene notata subito per la sua voce e a quindici anni comincia la sua carriera di cantante nei club di Harlem, già dal 1930 al 1931.
È in questo periodo che si prende il nomignolo “Lady”, per il suo rifiuto di farsi infilare le mance fra le cosce….che schizzinosa!
La svolta arriva nel 1933 quando a un'audizione ridicola a uno speakeasy (una sorta di antenato del maledetto karaoke), spinge il suo accompagnatore di quella sera, a chiedere se poteva cantare.
In effetti, la Holiday ha iniziato a farsi pubblicità all'inizio del 1933, quando il produttore discografico John Hammond, solo tre anni più vecchio di Holiday stessa, e proprio all'inizio di una carriera leggendaria (per fare qualche nome di sue "scoperte" citiamo a caso Count Basie, Benny Goodman, Bob Dylan, Leonard Cohen, Stevie Ray Vaughan...), gli fa fare un provino per la Columbia: inizia il successo planetario!
Le fa ottenere una recensione in una rubrica per Melody Maker e porta Benny Goodman a uno dei suoi spettacoli.
Dopo aver registrato una demo ai Columbia Studios, Holiday si unisce a un piccolo gruppo guidato da Goodman per fare il suo debutto commerciale il 27 novembre 1933 con "Your Mother's Son-In-Law".
Anche se non ritorna in studio per oltre un anno, Billie Holiday trascorre il 1934 salendo passo passo i gradini della competitiva scena dei locali di New York.
All'inizio del 1935, fa il suo debutto all'Apollo Theatre e appare in un corto con Duke Ellington.
Verso l'ultima metà del 1935, Holiday entra di nuovo in studio e produce un totale di quattro sessioni.
Con una band supervisionata dal pianista Teddy Wilson, registra una serie di brani oscuri e assolutamente dimenticabili ripresi direttamente da un repertorio “alla” Tin Pan Alley, in altre parole, le uniche canzoni disponibili per una sconosciuta band di neri durante la metà degli anni '30.
Durante questo periodo infatti gli editori musicali riservano le migliori composizioni rigorosamente nelle mani delle orchestre bianche e dei cantanti bianchi più popolari.
Nonostante la scarsa qualità delle canzoni, Billie e vari membri del gruppo (tra cui il trombettista Roy Eldridge, il sax contralto Johnny Hodges e i tenori Ben Webster e Chu Berry) riescono a dar brio a pezzi piatti come "What a Little Moonlight Can Do", "If You Were Mine”, "Eeny Meeny Miney Mo" e "Yankee Doodle Never Went to Town".
Nel 1936, la Holiday va in tournée con orchestrei guidate da Jimmie Lunceford e Fletcher Henderson, poi torna a New York per diverse altre session.
Alla fine di gennaio del 1937, registra diversi pezzi con un piccolo gruppo selezionato da una delle nuove scoperte di Hammond, mr. Conte Basie.
Il sassofonista Lester Young, che aveva brevemente conosciuto Billie diversi anni prima, e il trombettista Buck Clayton si affezionano particolarmente alla nostra.
Con loro registrerà i migliori lavori rilasciati alla fine del decennio e la Holyday stessa affibbierà il soprannome “Pres” a Young, mentre lui la ribattezza “Lady Day” per la sua eleganza.
Nella primavera del 1937, inizia a girare con Basie come come contraltare femminile al suo cantante, Jimmy Rushing.
Ma la collaborazione dura meno di un anno: anche se ufficialmente viene licenziata dalla band per essere capricciosa e inaffidabile, sembra che il diktat sia venuto dai produttori dopo il suo rifiuto di cantare gli standard blues femminili degli anni '20.
Almeno temporaneamente, la faccenda in realtà sembra giovare alla Holiday: meno di un mese dopo aver lasciato Basie, viene assunta dalla popolare orchestra di Artie Shaw: nel 1938 e una prime nere ad apparire con un gruppo bianco.
Nonostante la continua fiducia e supporto di tutta la band, tuttavia, i tour manager e gli sponsor della radio iniziano presto a lamentarsi della Holiday, in quanto il suo stile di canto risulta così poco ortodosso (sarà un fatto di razza…).
Dopo una escalation di umiliazioni (pur essendo una delle prime nere ad esibirsi con musicisti bianchi in locali per bianchi, deve comunque passare sempre dalla porta di servizio per entrare...), la Holiday lascia la band disgustata.
Ancora una volta, la fortuna bacia le sue scelte: l’indipendenza le permette di esibirsi in un nuovo club alla moda, il Café Society, il primo locale notturno con un pubblico inter-razziale.
Lì, Billie Holiday interpreterà la canzone che la catapulterà alle stelle: "Strange Fruit".
Il brano, scritto da Lewis Allen, diventa uno degli standard più celebri dei pezzi di protesta contro il razzismo.
Sebbene inizialmente Holiday esprima dei dubbi sull'aggiungere al suo repertorio una canzone così cruda e diretta, riesce a mediare l’asprezza del testo grazie alla sua interpretazione sottile e sfumata.
"Strange Fruit" diviene ben presto il momento clou delle sue esibizioni.
Sebbene John Hammond rifiuti di registrarla (non per motivi politici ma per le sue immagini eccessivamente scabrose), concede a Billie un po’ di libertà per inciderla per la Commodore, un’etichetta del proprietario del negozio di dischi jazz Milt Gabler.
Una volta pubblicata, "Strange Fruit" viene bandita da molte emittenti radiofoniche, anche se il crescente successo dei jukebox (e la buona idea di mettere sul lato B del singolo "Fine e Mellow"), la rende una vera hit, anche se controversa
La Holiday continua a registrare per la Columbia fino al 1942, e si impone alla grande con la sua composizione più famosa, "God Bless the Child" del 1941.
Passa poi alla Decca, e, nel 1944, pubblica "Lover Man", una canzone scritta appositamente per lei e il suo terzo grande successo.
La Holiday diviene presto una star di questa etichetta, guadagnandosi il diritto a materiale di alta qualità e sontuose sezioni di corde per le sue sessioni.
Continuerà a registrare diverse sessioni per la Decca durante il resto degli anni '40, e piazza in classifica diverse hit, tra cui "Tain't Nobody's Business If I Do" di Bessie Smith, "Them There Eyes" e "Crazy He Calls Me”.
Sebbene la sua carriera artistica sia al culmine, durante la metà la degli anni ‘40, la vita privata di Billie va sempre più a rotoli.
Inizia un periodo turbolento: già ci andava giù pesante con l'alcol e la marijuana quando inizia a fumare l'oppio con il suo primo marito, Johnnie Monroe.
Il matrimonio non dura a lungo, ma il secondo, con il trombettista Joe Guy, va pure peggio e la nostra iniziaca farsi di eroina.
Nonostante il suo trionfale concerto al Town Hall di New York e un piccolo ruolo cinematografico nel ‘47, come cameriera, a fianco del suo mito Louis Armstrong, sperpera una grande quantità di denaro dirigendo la sua orchestra col marito.
La morte della madre poco dopo assesta un duro colpo al suo già fragile equilibrio e, lo stesso anno, viene arrestata per possesso di eroina e condannata a otto mesi di prigione.
Chiaramente i problemi della Holiday con la roba non si risolvono dopo il suo rilascio.
L'accusa per droga le rende impossibile esibirsi nelle sale da ballo e nel comtempo viene sfruttata e truffata da diversi approfittatori, sia nell’ambito della droga che in quello discografico.
La sua voce si sciupa irrimediabilmente ma ne aquista in drammaticità e profondità.
Purtroppo una voce triste e malinconica come la sua non la si inventa dal nulla...
Continua comunque a lavorare per la Decca fino al 1950.
Due anni più tardi, inizia a registrare per l'imprenditore jazz Norman Granz, proprietario dell' etichetta Clef e, nel 1956, per la Verve.
Le registrazioni più intime la portano ad avere un piccolo gruppo di fidati musicisti, ritrovando alcuni con cui aveva lavorato quando era alla Columbia: ritrova Ben Webster e collabora con altri jazzisti di altissimo livello come Oscar Peterson, Harry "Sweets" Edison e Charlie Shavers.
Anche se le devastazioni di una vita di eccessi e sofferenze stanno iniziando a chiedere il pedaggio alla sua voce, molte delle registrazioni della metà degli anni '50 sono forse più belle e intense del suo periodo “classico”.
Di sicuro a noi piacciono di più….
Nel 1954, la Holiday va in tour in Europa con grande successo, e la sua celebre autobiografia del 1956 le porta ancora più notorietà.
Fa la sua ultima grande apparizione nel 1957, nello speciale televisivo The Sound of Jazz della CBS con Webster, Lester Young e Coleman Hawkins ad offrirle manforte.
Un anno dopo, Bessie registra l’album “Lady in Satin LP indossava la sua voce nuda, sempre più roca, con le corde esagerate di Ray Ellis.
Durante il suo ultimo anno, ha fatto altre due apparizioni in Europa: una volta si esibisce anche in Italia, a Milano, in un teatro dove il pubblico, abituato alle divette del varietà, non le fa neanche finire la scaletta...
Il crollo è nel maggio 1959 per malattie cardiache e del fegato.
Cerca sempre di procurarsi eroina mentre sta all’ospedale ma viene arrestata per possesso di stipupefacenti e detenuta nella sua stanza.
La magnifica “Lady” muore il 17 luglio, e, come estremo oltraggio, ci sono gli sbirri fuori a piantonare la camera per paura della "droga".
Ormai il suo fisico debilitato era completamente incapace di combattere contemporaneamente sia l'astinenza sia le crisi cardiache.
...e poi dicono che la sfiga non esiste!
Onore alla divina!
Onore a Billie Holiday!
“...Down around the river
Soon that deep blue sea
Will be callin' me
It must be love say what you choose
I gotta right to sing the blues
There's nothing left for me
I'm full of misery
I gotta right to sing the blues"
Billie Holiday - I Gotta Right to Sing the Blues