Prendete fiato e cominciate ad arrampicarvi…
Oggi ci attende una bella scalata sul Monte Olimpo, cari amici dei Mutzhi Mambo, perché per omaggiare l’algida MARLENE DIETRICH bisogna arrivare fino alla vetta, al cospetto degli dei.
Perché se c’è un’attrice che si merita il titolo di divina, questa è proprio Marlene Dietrich!
Anzi, la Dietrich era proprio un angelo, un “Angelo Azzurro”, sceso dal cielo per farci ricordare quanto siamo mediocri e privi di qualsiasi appeal al suo confronto.
Marlene Dietrich con il suo fascino unico, altero e carismatico, ma pure sensuale all’ennesima potenza, ha impersonato perfettamente gli ideali di stile, eleganza e assoluta distanza della donna sofisticata e irraggiungibile così in voga negli anni '30: una perfezione e un fascino assolutamente originali per l'epoca, che alluzzavano sia i maschietti che le femminucce, una patina androgina che, dopo di lei, altre dive avrebbero tentato di replicare ma mai con tale efficacia.
Femme fatale per eccellenza di Hollywood, icona di seduzione e trasgressione, donna libera ed indipendente, divenne sinonimo di glamour e mistero e il suo mito crebbe in contrapposizione con l’altra gelida divina venuta dal Nord, l’istrionica Greta Garbo.
E infatti non sono pochi i punti di contatto fra le due dee: ambedue bellezze algide e scostanti nondimeno la Dietrich mantenne sempre un fascino erotico più marcato e meno androgino.
E poi, Marlene sapeva pure cantare benissimo…
Di sicuro visse con una inedita intensità tutte le esperienze della vita e lottò come una tigre per potersi affermare.
La sua volontà di essere sempre la migliore la condusse a toccare le vette più alte dello starsystem ma la portò anche ad una vita di relazioni fugaci, solitudine, depressione.
Oltretutto viveva malissimo la sua radicale ambiguita, quasi uno sdoppiamento d’identità, divisa com’era tra l’amore e l’odio per la sua terra natale, la Germania, tra l’amore e odio per gli uomini e le donne.
Le sue chiacchieratissime relazioni alimentarono quell’aura trasgressiva che lei ostentò sempre senza remore, sia nella vita privata che nei film, mostrandosi in più occasioni, vestita da uomo e ostentando la sua stravaganza, addirittura col primo bacio lesbico della storia del cinema.
Era la donna che “perfino le donne possono adorare”.
Veramente troppo per la bigotta Hollywood dell’epoca.
Sembra pero che dietro la sua bellezza sofisticata e sensuale, si celasse una specie di arpia, una donna fredda, dispotica e ultrasnob: la sua unica figlia la definirà “un mostro” e Ernest Hemingway (uno fra i suoi tanti celebri ammiratori e amanti) l’aveva ribattezzata “The Kraut”.
In effetti gli era rimasto appiccicato addosso un bel po’ di “crucco” e, pur non aderendo al nazismo (anzi sarà una delle sue più accese avversarie), era rimasta spaventosamente razzista nonché totalmente sprezzante verso il “popolino”.
Ossessionata dalla perfezione, iniziò a darci sotto con la bottiglia quando si accorse che gli anni passavano inesorabili e che la salute veniva meno.
Ma noi ce la vogliamo ricordare come un angelo...
Dopotutto non è poi così difficile: basta riguardare un suo film o ammirare una sua foto ed ecco che l’epifania si rinnova.
Come per magia…
Marie Magdalene Dietrich (così all’anagrafe) nasce il 27 dicembre del 1901 a Schoeneberg, in Germania, figlia di una gioielliera e di un ufficiale di polizia scomparso prematuramente.
La madre si risposa, ma il secondo marito cade sul fronte orientale.
Chiaramente, la mancanza di una figura di riferimento maschile, inciderà non poco sulla sua futura, disastrosa vita sentimentale.
Dal 1907 al 1919 studia varie lingue e soprattutto il pianoforte e il violino ma uno strappo ai legamenti di un dito la costringe a rinunciare alla carriera come musicista.
A partire dagli anni '20 inizia a studiare recitazione e nel 1922 debutta sui palcoscenici di Berlino e ad apparire in alcune produzioni cinematografiche del regista Max Reinhardt.
Nel 1923 sposa l’aiuto regista Rudolf “Rudi” Sieber che legalmente rimarrà il suo unico marito, anche se di fatto si separano abbastanza presto, rimanendo comunque in ottimi rapporti (sembra che lui sia rimasto succube della ex moglie).
L'anno dopo il matrimonio partorisce la sua prima e unica figlia, Maria Elisabeth.
Nel 1929 debutta come protagonista nel drammatico “Enigma”, un film muto di Kurt Bernhardt, in cui la nostra interpreta una misteriosa rovina-famiglie.
Sempre lo stesso anno il regista ebreo-austriaco Josef von Sternberg arriva da Hollywood per fare un film basato sulla figura del professor Unrat, un personaggio frutto dell'invenzione letteraria di Heinrich Mann.
Marlene Dietrich rapisce subito l'attenzione del regista e dalla collaborazione nasce un capolavoro: "L'angelo azzurro", film in cui Marlene impersona una cantante di nightclub in quello che era uno dei primi film tedeschi sonori.
Indimenticabile la sua performance mentre canta il famoso pezzo di Friedrich Hollaender “Ich bin von Kopf bis Fuß auf Liebe eingestellt” mostrando le sue leggendarie cosce tornite, impreziosite da fantasmagorici reggicalze.
Le sue gambe diventano così famose che sarà la prima star ad assicurarle.
Con questo ruolo che la immortala immediatamente tra i miti del cinema, avrà inizio una lunga e gloriosa carriera.
Marlene segue Sternberg a New York e a Hollywood, recitando per lui in altri sei suoi film che contribuiranno a rendere l'attrice una leggenda vivente.
Tra l’altro, proprio per non perdere la possibilità di lavorare col suo regista preferito, la Dietrich, prima di firmare il contratto con la Paramount, impone una clausola inedita: la possibilità di scegliere personalmente i registi con cui lavorare.
Tra le pellicole firmate Sternberg ci sono "Marocco" (1930), in cui Marlene appare vestita con un frac nero e un cappello a tuba e bacia sulle labbra una donna del pubblico (il primo bacio lesbico visto sul grande schermo!), "Disonorata" (1931), in cui incarna la parte di una spia austriaca durante la prima guerra mondiale, e "Shangai express" (1932), pasticcio exotico ma che conferma la Dietrich come bellezza fatale, ambigua e indecifrabile.
Gli altri film in coppia col regista austriaco sono: "Venere bionda" (1932), "L'imperatrice Caterina" (1934), "Capriccio Spagnolo” (1935).
Finita la collaborazione con Sternberg l'attrice interpreta anche una parte brillante in una commedia diretta da Frank Borzage, "Desiderio", pellicola del 1936 che la vede nei panni di un'affascinante ladra di gioielli che fa capitolare ai suoi piedi uno stolido Gary Cooper.
In seguito però torna anche ad affrontare parti più melanconiche come quella di "Angelo" (1937), un film di Ernst Lubitsch in cui interpreta Lady Maria Barker, una donna che scopre di aver tradito il marito con uno dei suoi più vecchi amici.
Il film non riscuote un grande consenso e per qualcuno già si parla di declino.
Ma Marlene torna presto alla ribalta con un western, “Partita d’azzardo”, di George Marshall, in cui impersona una cantante di saloon.
È il 1939, anno in cui la Dietrich diviene ufficialmente cittadina americana.
Ostile al nazismo, Marlene Dietrich decide di impegnarsi attivamente sostenendo le truppe americane in Africa e in Italia.
Per loro registra la classicissima "Lili Marlene” (1944), un brano tedesco inciso la prima volta da Lale Andersen nel ’38 che, nella sua versione diventa la melodia malinconica per antonomasia dei soldati al fronte, di qualsiasi schieramento si tratti.
Questa sarà la canzone che l'accompagnerà per il resto della sua vita.
Chiaramente, nella sua ex-patria, Marlene diviene sinonimo di traditrice tanto che, quando andrà in tournée in Germania nel 1960, subirà diverse contestazioni e la sua tomba di Berlino verrà più volte vandalizzata e oltraggiata da gruppi di neonazisti.
Nel dopoguerra, lavora ancora con diversi registi prestigiosi: da George Lacombe in "Turbine d’amore" (1946), a Billy Wilder in "Scandalo internazionale" (1948), film in cui Marlene impersona con coraggio una cantante nazista in una Berlino in rovine, e “Testimone d’accusa” (1957); e poi ancora il thriller "Paura in palcoscenico” (1950) di Alfred Hitchcock e il noir "L'infernale Quinlan" (1958), di Orson Welles.
Dalla metà degli anni ’50 i suoi ruoli divengono sempre più rarefatti, ma non ci sono solo film per la nostra Marlene che, da un certo momento in poi, comincia a esibirsi anche sul palcoscenico in diversi concerti, tra i quali memorabile fu quello di Rio del 1959.
Intanto la sua salute comincia a peggiorare a causa di un’artrite precoce che le rende difficile camminare (proprio lei, che aveva assicurato le gambe!): a questo si aggiungeranno gli abusi di antidepressivi e di alcol e diversi incidenti durante delle esibizioni, fra cui quello durante un recital ad Ottawa, nel 1975, sua ultima apparizione pubblica.
La divina si ritrae a vita privata, lontana dalle telecamere e solo David Bowie riuscirà a riportarla sullo schermo, purtroppo col bizzarro “Gigolò” (1978), un delirante, leggendario flop diretto da David “Profondo Rosso” Hemmings.
Ormai costretta su una sedia a rotelle, sempre più reclusa e schiava di medicinali e alcol, la divina ci lascia il 6 maggio del 1992 all'età di 90 anni.
Ufficialmente per un infarto ma si parla pure di suicidio per overdose di barbiturici.
Oddio, a 90 la sua vita comunque l’aveva fatta...
A noi non ci resta che rimpiangere una delle poche prove che avevamo a disposizione per credere all’esistenza di Dio…
Perché un tale fascino non si spiega se uno non crede a qualcosa di divino!
Onore a Marlene Dietrich!
“Quando l'amore è finito, gli alimenti colmano il vuoto.”
Marlene Dietrich