“La religione è la prima forma di fantascienza”.
Basta questa frase, cari amici dei Mutzhi Mambo, per proiettare il fantastico PHILIP JOSE FARMER nell’orbita dei più grandi scrittori di fantascienza dello scorso secolo.
E per farcelo stare subito simpatico…
Asimov diceva che era un autore di racconti migliore di se stesso: anche se c’era chi idolatrava e chi detestava Philip Jose Farmer, una cosa era sicura: nessuno poteva ignorare la sua influenza sul genere, che era veramente incalcolabile.
Un corpus di opere mastodontico, quello di Farmer: si parla di 60 romanzi, circa 100 fra racconti e novelle, due false biografie e una quantità di articoli, saggi e facezie varie.
Ma se molti lavori giovanili sono fantascienza di routine, e alcuni dei suoi libri scritti a ritmo di fabbrica negli anni ’70 e ’80 verranno giustamente schifati dalla critica, resta indubbio che l’opera di P.J. Farmer costituisca uno dei grandi classici nel campo della fantascienza.
Colto, elegante, scurrile, sardonico, acutissimo, cinico, divertente, capace come nessuno di descrivere in modo “umano” creature sovrumane, il nostro è un autore che ha “rivoluzionato” la “moralità della letteratura fantascientifica.
Molti dei temi che fanno di Farmer un autore unico sono i raffinati riferimenti letterari, la spensierata leggerezza con cui affronta e infrange tutti i tabù possibili (in un mondo, come quello della fantascienza, di solito piuttosto bigotto, forse perché erroneamente ritenuto un prodotto rivolto ai ragazzi), il gusto per la satira, il desiderio di inventare e sviscerare civiltà umanoidi che per questo o quel motivo si discostano dalla nostra, i riferimenti al glorioso passato Pulp, riprendendo e rinfrescando le avventure di eroi come “Doc Savage” e Tarzan”, e pure la religione, vista però come prodotto culturale…
Alcuni critici hanno paragonato Farmer a Ray Bradbury in quanto entrambi erano provincialotti eccentrici che hanno osato forzare i limiti classici del genere fantascientifico: il nostro però si distingue dal suo illustre collega per il fatto di riuscire ad essere allo stesso tempo ingenuo e sofisticato, mescolando tecnologia futuribile, pornografia e avventura.
Va detto che la sua prosa spesso è sciatta, a volte si dimentica dei personaggi di contorno (cosa che lo farà additare negativamente dagli amanti della sci-fi “precisa”), ma possiede una capacità di coinvolgere il lettore in situazioni avventurose che ben pochi possono vantare.
L’influenza di Farmer sulle generazioni successive di scrittori di fantascienza è senza dubbio enorme e per noi, amanti del Pulp, la sua opera ha una doppia valenza, in quanto è stato il primo a ripescare e valorizzare, donandogli nuove chiavi di lettura, gli ingenui protagonisti delle riviste da due soldi, con un’operazione simile a quella che faranno successivamente autori come Alan Moore nell’ambito dei fumetti.
Eppure, curiosamente, mai Hollywood cercò di fare un film da una sua storia, a parte qualche maldestro tentativo…
Probabilmente il suo continuo rompere tabù, l’ha reso un po’ troppo tabù per l’industria cinematografica.
Come si dice: a volte meglio non rischiare...
Philp Jose Farmer nasce il 26 gennaio del 1918 a North Terre Haute, nell'Indiana, da famiglia benestante e fortemente puritana.
I sui antenati sono di una decina di nazionalità diverse: inglese, olandese e irlandese per parte di padre, scozzese, tedesco e cherokee per parte di madre.
Contrariamente a quanto suggerirebbe il secondo nome, non ha avi spagnoli: spesso scritto con l’accento, “José”, per dargli una connotazione maschile, in realtà quell'accento non c’è perché "Jose" è il nome della nonna materna che lui porta in sua memoria (un po’come l’ “Enrico Maria” nostrano...).
Cresce a Peoria, in Illinois, dove frequenta la Peoria High School. Suo padre è un ingegnere civile e un supervisore per la compagnia elettrica locale.
Oppresso dal un'educazione rigidamente moralista, il nostro cerca una via di fuga nelle letture avventurose e fantastiche: dai classici greci a Swift, London, Stevenson, fino agli scrittori popolari dell'epoca come Jules Verne e Edgar Rice Burroughs e alle prime riviste pulp di Hugo Gernsback.
Già in quarta elementare, Philip sogna di diventare scrittore e a 14 si dichiara agnostico.
La passione per i libri lo spinge a iscriversi alla facoltà di lettere e a cominciare a scrivere, ma senza fortuna.
Inoltre la ditta del padre fa bancarotta e il nostro è costretto a lasciare temporaneamente gli studi per lavorare in una centrale elettrica.
Rifiutati i suoi racconti, forse troppo spregiudicati per l’epoca, dalle riviste del settore come “Astounding”, Farmer si scoraggia e smette di scrivere; a 23 anni, nel 1941, si sposa (dal matrimonio nasceranno un figlio e una figlia) e dopo l'addestramento in aviazione durante la seconda guerra mondiale, trova impiego in un'acciaieria locale.
Continua lo stesso la sua formazione, e riesce a conseguire una laurea in inglese presso la Bradley University nel 1950.
Riprende a scrivere nel 1951 e cerca di pubblicare il romanzo breve “Gli amanti di Siddo” che, rifiutato da “Astounding” e da “Galaxy”, viene invece accettato da Jerome Bixby per la rivista “Startling Stories”.
Il tema del racconto è veramente esplosivo: il rapporto amoroso fra un essere umano e una creatura aliena, descritto fra l'altro in modo abbastanza esplicito!
Qualcosa che per l'epoca, se da una parte ostacolerà Farmer causandone l’iniziale rifiuto delle riviste più accreditate, d'altra parte, farà del suo autore il fenomeno dell'anno.
Farmer sfrutta la fama acquisita e riesce a vincere, nel 1953, il premio Hugo come autore più promettente, la prima volta che viene assegnato
Ma la sfiga è dietro l’angolo: nel 1954 vince un premio letterario indetto dall'editore Shasta (4000 bigliettoni) e sulle ali dell'entusiasmo molla il lavoro per dedicarsi completamente alla carriera letteraria.
L’editore Shasta, tuttavia, fallisce (probabilmente in modo fraudolento) privando il nostro non solo del premio ma anche della pubblicazione del romanzo.
In preda alla disperazione, Farmer deve abbandonare la narrativa e cercare nuovamente un lavoro che gli permetta di mantenere la moglie e i figli.
Solo nel 1957 riesce a ritrovare una sistemazione stabile come scrittore tecnico e riprendere così a ideare nuove storie, a livello amatoriale.
Trascorrerà diversi anni lavorando in questa veste per vari committenti della Difesa, da Syracuse, New York a Los Angeles, mentre scriveva fantascienza nel suo tempo libero.
Per sua fortuna, il mercato della fantascienza sta cambiando; l'epoca delle riviste è al tramonto e si apre quella dei paperback, e per uno scrittore come lui, con una forte componente avventurosa, ciò è l'ideale.
Dal 1967 riesce finalmente a realizzare il suo sogno di guadagnarsi da vivere scrivendo “I Cavalieri del Salario Purpureo” un pastiche basato su “Finnegans Wake” di James Joyce (immaginato come fosse un testo religioso), e una satira sul “benessere” visto come prossimo futuro.
Questo diventerà uno dei "pezzi forti" dell'antologia “Dangerous Visions” con la quale Harlan Ellison lancia la fantascienza letteraria e sperimentale americana, corrispettivo della new wave inglese.
Rincuorato dal successo, Farmer torna ad essere uno scrittore a tempo dal 1969.
Tornato a Peoria nel 1970, entra nel suo periodo più fecondo pubblicando 25 libri in 10 anni.
Nel 1972 vince di nuovo il premio Hugo (il terzo) per il miglior romanzo che lo consacra a tutti gli effetti fra i più grandi autori di sci-fi, proprio con “To Your Scattered bodies go” ("Il fiume della vita"), la riscrittura di quel “I owe for the flesh” che aveva vinto il premio Shasta e dato inizio alle sue sventure.
Si tratta del primo romanzo del “Ciclo del Mondo del Fiume”, che sarà tra le serie più fortunate di Farmer, e che produrrà cinque romanzi e molti racconti, e un film (orrendo) tratto dal primo capitolo della saga.
Il ciclo narra le avventure di personaggi molto eterogenei come Richard Francis Burton, Hermann Göring e Samuel Clemens, attraverso la bizzarra vita ultraterrena in cui ogni umano che abbia mai vissuto, risorge contemporaneamente lungo una valle fluviale che si estende su un intero pianeta.
La serie comprende “Il fiume della vita” (1971), “Alle sorgenti del fiume” (1971), “Il grande disegno” (1977), “Il labirinto magico” (1980) e “Gli dei del fiume” (1983); “Il mondo di Philip Jose Farmer” (1979) non fa parte della serie in quanto tale, e include una storia di Riverworld indipendente anziché integrata in uno dei romanzi.
Un ultimo paio di romanzi collegati appare negli anni '90: "Crossing the Dark River" (1992) e "Up the Bright River "(1993).
Nonostante la serie televisiva tratta dal suo primo successo sia una ciofeca, il successo di Philip ormai è già consolidato, grazie soprattutto all'altra serie che lo renderà famoso, “Fabbricanti di Universi”.
La serie è ambientata in un certo numero di universi paralleli artificialmente costruiti (di cui la Terra è uno), creati decine di migliaia di anni fa da una razza di esseri umani non terrestri che avevano raggiunto un livello talmente avanzato di tecnologia da divenire immortali e acquisire un potere quasi divino.
L'universo principale in cui queste storie hanno luogo e da cui la serie prende il suo nome, consiste in un enorme pianeta a più livelli, a forma di pila di dischi o cilindri tozzi, uno sull'altro.
La serie segue le avventure di molti di questi esseri umani divini e diversi umani "ordinari" dalla Terra che viaggiano per caso in questi universi artificiali.
Uno di questi terrestri "normali" è Paul Janus Finnegan, che diventerà il personaggio principale della serie.
La serie è composta da “Il fabbricante di universi” (1965), “I cancelli dell’universo” (1966), “Un universo tutto per noi” (1968 ), “Le muraglie della Terra” (1970), “Il mondo di Lavalite” (1977) e “La macchina della creazione” (1993).
Alla serie è correlato “La rabbia di Orc il Rosso” (1991), che non coinvolge direttamente i personaggi principali degli altri libri, ma fornisce informazioni di base su determinati eventi e personaggi ritratti negli altri romanzi.
Questo sarà il più "psicologico" dei romanzi di Farmer.
Nella serie “Dayworld” (tre romanzi), la terra è a tal punto sovrappopolata che tocca fare i turni: c’è chi vive di giorno e chi vive di notte.
Nel ciclo di “Childe” (tre romanzi), fantascienza, religione e sesso si mescolano in maniera selvaggia e scandalosa; la serie sarebbe in realtà una tetralogia, ma Farmer non si prenderà mai la briga di scrivere il quarto volume.
Farmer si dedica però più volentieri alla fantascienza avventurosa, dai grandi scenari ricchissimi di idee e non di rado tocca cicli e personaggi altrui: “Phileas Fogg”, il protagonista de “”Il Giro del Mondo in 80 Giorni” di Jules Verne, “Tarzan” l’uomo-scimmia creato da Edgar Rice Burroughs, “Doc Savage” uno dei piu celebri eroi delle riviste Pulp ideato da Lester Dent, “Il mago di Oz”, di L. Frank Baum.
In “The Wind Whales of Ishmael” (1971), si inventa un sequel per “Moby Dick” di Herman Melville; ne “Il diario segreto di Phileas Fogg” (1973), riempie i periodi di tempo che mancano nella narrazione de “Il Giro del Mondo in 80 Giorni” di Verne; in “A Barnstormer in Oz” (1982), il figlio adulto di Dorothy, un pilota, vola per caso nel Paese di Oz.
Nel romanzo “The Adventure of the Peerless Peer”, Tarzan e Sherlock Holmes si alleano.
La serie di “Lord Grandrith e Doc Caliban” ha come protagonisti “Tarzan” e “Doc Savage”: consiste in “A Feast Unknown” (1969), “Lord of the Trees” (1970) e “The Mad Goblin” (1970).
Farmer scrive anche due finte biografie di entrambi i personaggi, “Tarzan Alive” (1972) e “Doc Savage: Una biografia apocalittica” (1973), con la premessa che i due siano basati su persone reali la cui vita viene romanzata dai loro cronisti originali, per poi collegarli genealogicamente con un gran numero di altri personaggi immaginari noti in uno schema noto come "la famiglia Wold Newton".
Inoltre, Farmer scrive sia un romanzo autorizzato di “Doc Savage”, “Escape from Loki” (1991) che un romanzo di “Tarzan”, “The Dark Heart of Time” (1999).
Nel romanzo del 1972, “Time's Last Gift”, il nostro esplora anche il tema di “Tarzan” combinato con il viaggio nel tempo, mentre nel suo ciclo storico incompleto di “Khokarsa - Hadon of Ancient Opar” (1974) e “Flight to Opar” (1976), Farmer ricostruisce la "città perduta" di Opar, che svolge un ruolo importante nella saga di Tarzan, nel momento della sua gloria come città coloniale dell'impero di Khokarsa.
Scrive anche diversi romanzi apertamente pornografici, tradotti anche in Italia: “Nelle rovine della mente”, “L'immagine della bestia”.
Tra i suoi libri più originali si segnala anche “Venere sulla conchiglia”, pubblicato sotto pseudonimo col nome di un personaggio creato da Kurt Vonnegut, "Kilgore Trout", uno sfigatissimo scrittore di fantascienza nel quale probabilmente tanto Vonnegut che Farmer rivedono se stessi.
Ma Vonnegut, che inizialmente dà l’assenso per l’operazione, successivamente se ne prende a male, visto che molti lettori pensano che sia un suo romanzo, e impedirà a Farmer di continuare ad usare tale pseudonimo.
Il lavoro del nostro a volte contiene anche temi teologici.
Gesù si presenta come personaggio in entrambe le serie di “Riverworld”, e in “Cristo marziano" (1978), conduce padre John Carmody (personaggio piuttosto blasfemo) in un'odissea in un mondo alieno in cui le forze spirituali si manifestano nel mondo materiale.
In “Il figlio del Sole” (1960) gli astronauti ritornano su una Terra di 800 anni nel loro futuro dominato da una religione pagana che adora una Dea.
E questa di cui abbiamo parlato non è che una parte della sua produzione!
Il vulcanico Farmer muore nel sonno il 25 febbraio 2009, alla veneranda età di 91 anni.
Mentre la sua sterminata opera si trova facilmente in lingua originale, grazie alle continue ristampe, rimane difficile, per noi reperire la sua produzione tradotta in italiano, essendo esauritissime e rare le edizioni della Nord dei cicli principali, e anche quelle riproposte da Urania sono ormai a loro volta difficili da trovare persino sul mercato dell'usato.
Però, in questo caso, un po’di fatica varrà la pena di essere spesa.
Perché Farmer è veramente un ganzo!
Onore a Philip Jose Farmer!
“L'immortalità è un dolore al sedere.”
Philip Jose Farmer – Venere sulla conchiglia