Premessa: a noi i chitarristi che suonano seduti (a meno che non siano vecchi o malati) piacciono poco, siamo prevenuti...
Ma per il funambolico MARC RIBOT facciamo volentieri un'eccezione, visto che è uno dei nostri chitarristi preferiti!
È vero, cari amici dei Mutzhi Mambo, spesso il nostro Marc suona roba al limite dell'ascoltabile, spesso si compiace del "famolo strano", ma quando è alle prese col repertorio giusto, non ce n'è per nessuno.
Curioso e infaticabile sperimentatore, aperto ad ogni nuova esperienza, il suo lavoro al fianco di Lounge Lizard, Tom Waits, Solomon Burke, Vinicio Capossela, e tanti altri rimane impresso negli annali e dona ai pezzi una atmosfera particolare, unica, stralunata.
Dischi favolosi e indispensabili come "Down by law", "Rain Dogs", "Il Ballo di San Vito", senza la sua mano non sarebbero stati altrettanto belli.
La lista degli artisti con cui ha collaborato, oltre a quelli appena citati, è veramente impressionante, incredibile per qualità e quantità: da Wilson Pickett a Foetus, da Robert Plant a Mike Patton, da Marianne Faithfull ai Klezmatics, da Tricky a David Hidalgo, da John Lourie a T-Bone Burnett, dai Black Keys a Vinicius Cantuaria.
E la lista non è neanche iniziata...
Tanti ci provano ma nessuno suona come Marc Ribot!
Marc Ribot nasce a Newark, nel New Jersey, il 21 maggio 1954, da una famiglia di origine ebraica.
Inizia a suonare la chitarra da ragazzino con le bande rock della sua zona quando ancora frequenta le medie.
Mentre i suoi interessi nella musica vanno ampliandosi, Ribot comincia a studiare con Frantz Casseus, un compositore haitiano e chitarrista classico; pur essendo mancino, Ribot impara a suonare la chitarra da destromane, cosa che contribuirà a rendere unico il suo stile.
Nel 1978, Ribot lascia Newark per New York e comincia a farsi un nome nella la scena musicale più all'avanguardia, inizialmente come membro della band Realtones e poi con il gruppo di John Lurie, i Lounge Lizards, band che unisce momenti sperimentali, influenze musicali diversissime ma anche un affascinante recupero delle atmosfere noir-swing più torbide.
Con loro lavora in "Big Heart: Live in Tokyo" (1986), "No Pain For Cakes" (1987), "Voice of Chunk" (1989).
Con John Lourie suona anche nelle meravigliose colonne sonore dei film di Jim Jarmush "Daunbailò" e "Mystery Train".
Diventa un collaboratore del compositore d'avanguardia John Zorn, mentre lavora anche come session man per autentiche leggende del Soul e Rhythm'n'blues come Solomon Burke, Wilson Pickett e Carla Thomas.
Nel 1985, Ribot viene reclutato per suonare sull'album capolavoro "Rain Dogs" di Tom Waits, che porterà a una lunga collaborazione tra il cantautore e il chitarrista con i dischi come "Franks Wild Years" (1987), "Big Time" (1988), "Mule Variations" (1999), "Real Gone" (2004), "Orphans: Brawlers, Bawlers & Bastards" (2006) e "Bad as Me" (2011).
Il chitarrista-produttore T-Bone Burnett sivavvale spesso del chitarrista per i suoi progetti di studio, tra cui session con Elvis Costello, Sam Phillips, John Mellencamp, Robert Plant e Alison Krauss, Diana Krall, Elton John e Leon Russell.
Costello in particolare lo invita a unirsi alla sua band live al Rude Five e a suonare sui suoi album "Spike" (1989), "Mighty Like a Rose" (1991) e "Kojak Variety" (1995).
Fruttuosissima anche la sua collaborazione col "nostro" Vinicio Capossela, con cui ha suonato nei dischi "Il Ballo di San Vito" (1996), "Canzoni a manovella" (2000), "Ovunque proteggi" (2006), "Marinai, profeti e balene" (2011), "Rebetiko gymnastas" (2012).
Ribot debutta come bandleader con il suo gruppo, i Rootless Cosmopolitans, che pubblicano il loro album omonimo di esordio nel 1990.
Con Don Byron al clarinetto, Anthony Coleman alle tastiere, Richie Schwarz alla batteria e Brad Jones al basso (tutti nomi di grido dell'avanguardia jazz di New York) Ribot probabilmente realizza il primo disco che possa accostarsi al leggendario "End Of The Game" di Peter Green.
Il suo forte sono i brani camaleontici: "Shortly After Takeoff" si lancia sull'onda di un gran ritmo fanfaresco, scampanella stonata, duetta con il clarinetto in brutture armoniche da far invidia a Captain Beefheart.
Così anche gli accostamenti: in "Beak Lunch Manifesto" un blues dai timbri metallicissimi (all'altra chitarra c'è Arto Lindsay) viene attizzato dal sassofono grossolano di Roy Nathanson e concluso da un pigolio della chitarra di Ribot che esaspera la slide dei neri.
Il jazz di "Friendly Ghosts" è un incrocio fra Mingus e i Lounge Lizards, che ha bisogno del massimo di libertà formale, tanto delle dissonanze libere quanto dei passi tradizionali.
Non manca il senso dello humour: sono divertimenti nonsense come "Cocktail Party", un brano funky in cui il motivo sincopato di chitarra viene ripetuto monotonamente, e "Nature Abhors A Vacuum Cleaner", un tema comico che la chitarra "canta" frantumandolo, come separando una nota dall'altra, prima che scompaia nel baccano generale.
Con "Requiem For What's His Name" (1992), accompagnato da Ralph Carney, Anthony Coleman e altri, Ribot compie un passo decisivo nella direzione di diventare un compositore classico, sia quando rivisita il soul delle sue origini sia quando reinventa Duke Ellington.
L'influenza di Tom Waits e dei Lounge Lizards è vistosa ("First Time Every Time", "Clever White Youth", "Commit A Crime") ma spesso Ribot lascia semplicemente svagare la fantasia, e i risultati sono a dir poco imprevedibili ("LaMonte's Nightmare", "1 Adolph 12").
"Shrek" (1994) è un album di musica violenta, ostile, che prova a catturare l'essenza dello stile di Albert Ayler nel contesto di un ensamble che ruota attorno alla chitarra.
Le cacofoniche "Spigot" e la title-track, la dissonante "Fourth World", l'angolosa "Big Money", e la marziale "Hoist The Bloody Icon High" portano avanti un incessante assalto sonico quasi hardcore.
"Sounds Of A Distant Episode" (1994), split album con il chitarrista Fred Frith, contiene due tra le sue migliori composizioni tra il classico e il surrealistico: "Lobster Claw Symphonette" e "The Rise And The Fall Of".
"Don't Blame Me" (1995) è una deliziosa collezione di standard pop e jazz passati attraverso il “trattamento Ribot”.
"Shoe String Symphonettes" (1997) colleziona invece i suoi lavori per il cinema.
Ribot mette poi il suo stellare talento musicale al servizio di in un omaggio al compositore cubano Arsenio Rodriguez col suo progetto Los Cubanos Postizos nell'album "The Prosthetic Cubans" (1998), che avrà un seguito meno riuscito con "Muy Divertido" (2000).
"Yo I Killed Your God" (1999) è un album registrato dal vivo in giro per il mondo.
Da allora ha pubblicato una nutrita quantità di registrazioni come solista, session man e come leader dei gruppi Ceramic Dog e degli Young Philadelphians; addirittura come compositore per balletti!
Nel 2016 ha collaborato con altri due chitarristi "estremi", Elliott Sharp e Mary Halvorson, per l'album "Err Guitar", pubblicato nel maggio 2017.
C'è chi lo ha messo al secondo posto in una "ideale" classifica dei migliori chitarristi rock di sempre, subito dopo Jimi Hendrix.
Ora, a parte il fatto che questo genere di classifiche lascia un po' il tempo che trova (anzi, a noi ci fanno proprio afa), è però innegabile che Marc Ribot è un chitarrista straordinario, sempre e in ogni dove.
Solo vorremmo che qualche volta se ne scordasse e ritornasse a fare anche qualcosa di più potabile…
Comunque sia, tanti auguri Maestro!
"…Questo è il male che mi porto da
trent'anni addosso
fermo non so stare in nessun posto
rotola rotola rotola il masso
rotola addosso, rotola in basso
e il muschio non si cresce sopra il sasso
e il muschio non si cresce sopra il sasso
scaccia scaccia satanasso
scaccia il diavolo che ti passa
le nocche si consumano
ecco iniziano i tremmori
della taranta, della taranta
della tarantolata..."
Vinicio Capossela - Il Ballo di San Vito