L’etimologia della parola “mostro” (dal latino “monstrum”: segno divino, prodigio, dal tema di “monēre” avvisare, ammonire) ci ricorda che questo termine ha in sé sia qualcosa di eccezionale, prodigioso, sia qualcosa che appare, si "mostra" come spaventosa, da cui è meglio stare alla larga…
E quale appellativo potrebbe meglio adattarsi al gigantesco CHARLES LAUGHTON, cari amici dei Mutzhi Mambo, vero “mostro” di bravura capace come nessun altro di trasformarsi in un “vero” mostro (nel senso estetico del termine!).
La carriera dì Charles Laughton è veramente eccezionale, prodigiosa: attore in una cinquantina di film firmati dai più grandi nomi (da DeMille a Preminger, passando per McCarey, Hitchcock, Renoir, Wilder, Kubrick, ecc.) mentre conduceva in parallelo una prestigiosa carriera teatrale, a cinquantasei anni decise di passare dietro la macchina da presa, realizzando un film unico (sia nel senso che è il solo che ha diretto, sia nel senso che è una pellicola che non ha eguali), che dopo decenni dalla sua uscita conserva intatto tutto il fascino e il mistero di uno dei più bei film noir della storia: “La morte corre sul fiume”.
Con la sua massa imponente, Laughton è riuscito ad imporre il proprio “tocco” ad ogni ruolo: un misto di humour e di scaltro cinismo che riusciva a sdrammatizzare persino le parti più “scomode” o spiacevoli.
Fu famoso e apprezzato soprattutto per ruoli di “cattivo”, da Nerone a Enrico VIII, dal perfido capitano Bligh del “Bounty” all'implacabile poliziotto Javert dei “Miserabili”, senza dimenticare la prova inquietante e insieme strappalacrime nei panni del deforme Gobbo di Notre Dame.
Personaggi ripugnanti che però seppe rendere ambiguamente affascinanti o perfino simpatici grazie non certo alle sue doti “fisiche” ma a un sapiente uso dell’ironia e dell'intelligenza.
Probabilmente, questa abilità ad impersonare personaggi ambigui deriva dalla sua vicenda personale.
Una vita segnata da una rigida educazione, dal timore di ammettere e dichiarare la sua omosessualità: una vita comunque passata recitando una parte.
Poco stupisce che abbia voluto fare l’attore...e che sia stato un così grande attore!
Nasce a Scarborough, nello Yorkshire, il 1° luglio del 1899, in una modesta famiglia di albergatori.
Educato dai gesuiti a Stonyhurst, viene mandato dai genitori a lavorare come apprendista cameriere all'hotel Claridge di Londra, ma con i soldi guadagnati riesce comunque a frequentare la Royal Academy of Dramatic Art.
Al debutto in teatro si fa notare in piccoli ruoli affidatigli da un regista proveniente dal Teatro d'arte di Mosca, Komissarževskji, in opere di Gogol′ e Čechov, arrivando in poco tempo a rivestire ruoli più importanti nel West End (Creonte in “Medea” di Euripide, il Console nel pirandelliano “Vestire gli ignudi”)
La sua bella panciona e la sua proverbiale flemma, diventano presto celebri.
Fa le prime apparizioni nel cinema con due cortometraggi d'avanguardia di Ivor Montagu (“Bluebottles” e “Daydreams”, su soggetti di H.G. Wells) in uno dei quali ha il ruolo di bobby al fianco di Elsa Lanchester (la futura “fidanzata di Frankenstein”) che in seguito diventerà sua moglie.
Lo si vede anche in “Piccadilly” (1929), di E.A. Dupont.
Una tournée negli Stati Uniti lo fa notare dai talent scouts di Hollywood.
Fa una prima apparizione in un film del terrore di James Whale, il fondamentale “The Old Dark House” (1932); sempre lo stesso anno, ottiene il primo ruolo da protagonista in “Il diavolo nell'abisso” di Marion Gering.
Seguiranno alcune caratterizzazioni memorabili, a volte al limite del caricaturale: è Nerone ne “Il segno della croce” (1932), di Cecil B. DeMille, il 'grattacarte' contestatore in “Se avessi un milione” (1932), di Lubitsch, lo scienziato folle in “Island of Lost Souls” (1933), di E. Kenton, il padre autoritario in “La famiglia Barrett” (1934), di Sidney Franklin, un imperturbabile maître d'hotel ne “Il maggiordomo” (1935), di Leo McCarey, l’implacabile poliziotto Javert ne “II sergente dì ferro” (1935), di Richard Boleslawsky, il sadico capitano Bligh in “La tragedia del Bounty” (1935), di Franķ Lloyd.
In Inghilterra gira tre pellicole a sfondo storico, in cui interpreta dei personaggi celebri: è Enrico VIII in “Le sei mogli di Enrico VIII” (1953), di Alexander Korda (ruolo che gli farà ottenere un Oscar), Rembrandt in “L'arte e gli amori di Rembrandt” (1936), sempre di Korda e, soprattutto, il balbettante imperatore Claudio nell’incompiuto “I, Claudius” (1937), di J. von Sternberg.
Alla vigilia della Seconda guerra mondiale lo troviamo irriconoscibile nelle spoglie di Quasimodo (frutto del truccatore Perc Westmore), sotto la direzione di William Dieterle, nel celeberrimo “Notre Dame” (1939).
Nel 1943 è l'umile istitutore patriottico in “Questa terra è mia” di Jean Renoir; recita poi in due piccoli ma eccellenti noir: “Quinto: non ammazzare” (1944), di Robert Siodmak e “Il tempo si è fermato” (1948), di John Farrow.
Nel 1948 Alfred Hitchcock gli affida il ruolo del giudice cinico ne “Il caso Paradine”.
Sarà anche un placido commissario Maigret in “L'uomo della Torre Eiffel” (1950), di B. Meredith, un simpatico vagabondo ne “Il poliziotto e il salmo” (episodio di “La giostra umana” di H. Koster, 1952), un bizzarro Erode in “Salomé” (1953), ancora di Dieterle, un vecchio avvocato misogino in “Testimone d'accusa” (1958), di Billy Wilder, e il viscido Gracco in “Spartacus” (1960), di Stanley Kubrick.
In teatro è un crudele Bottom in “Sogno di una notte di mezza estate”, uno sconvolgente “Re Lear”, e interpreta il “Galileo” di Brecht sotto la direzione di Joseph Losey.
A Parigi, con impeccabile pronuncia francese, recita “Le médecin malgré lui”.
Alla sua unica esperienza come regista cinematografico si deve il risultato eccezionale di un film fra i più belli e suggestivi della storia del cinema, “La morte corre sul fiume” (1955), tratto da un romanzo di D. Grubb, che, dopo iniziali deludenti risultati sul piano commerciale (Laughton ne viene tanto amareggiato che purtroppo deciderà di non ripetere l'esperienza), si affermerà come autentica pellicola di culto, grazie al sapiente intreccio, creato dal regista, di gotico, favola inquietante, avventura e romanzo di formazione, e a una veste formale di perfezione davvero rara.
Laughton non appare nel film ma saprà scegliersi eccellenti collaboratori: James Agee per la sceneggiatura, Stanley Cortez per la splendida fotografia in bianco e nero, Lillian Gish, da anni assente dallo schermo, come interprete, accanto a un Robert Mitchum e a una Shelley Winters nelle prove di gran lunga migliori di tutta la loro carriera.
Nel 1962 gira l'ultimo film: “Tempesta su Washington”, di Otto Preminger, dove è un machiavellico senatore dall'ideologia conservatrice.
Il grande attore muore a Hollywood, il 15 dicembre del 1962, all'età di 63 anni, per un tumore alla cistifellea.
E pensare che, quando parli di Quasimodo, alla gente viene in mente il cartone della Disney o quella palla del musical di Cocciante…
È proprio vero: la memoria è il vero difetto dell’umanità!
Onore a Charles Laughton!
“La mia faccia è come il posteriore di un elefante”
Charles Laughton