“Bacco, tabacco e Venere riducono l’uomo in cenere”: così recita un noto, vecchio adagio popolare.
Ora, per quel che riguarda Venere, non sappiamo, cari amici dei Mutzhi Mambo, ma per quello che riguarda Bacco e tabacco, è sicuramente vero in questo caso: si sono portati nella tomba il fantastico WARREN OATES con troppo anticipo!
Alcolista e fumatore incallito (ma pure infognato con la coca), Warren Oates è stato protagonista di alcune delle più celebri pellicole di Sam Peckinpah e, di conseguenza, una delle più grandi e celebrate icone Pulp.
Oates è stato uno dei più grandi caratteristi di Hollywood, ma ha avuto poche chance di far valere il suo innegabile carisma e la sua eccezionale bravura come attore principale (a parte, appunto, per l’amico Peckinpah e l'outsider Monte Hellman): certo, gli abusi e la morte prematura non hanno aiutato granché la sua carriera…
Inutile sottolineare che Warren è uno dei nostri attori preferiti!
Ma non perché era uno scoppiato ma perché era il più credibile di tutti a fare certe parti: con la sua faccia sorniona, lo sguardo da furetto, la voce roca, spesso interpretava personaggi violenti e orgogliosi, conflittuali e perdenti.
Il suo stile e intensità unici lo hanno portato a interpretare ruoli non convenzionali.
Aveva sempre quel sorrisetto ironico e irresistibile stampato in faccia, da uomo vissuto davvero, che non lo puoi prendere per il culo, che lo rendevano sempre adatto a ruoli borderline.
Inoltre, pochi, pochissimi possono vantare una filmografia così ricca di pellicole di culto.
Sembra quasi che fosse lui ad avere quel tocco magico capace di trasformare ogni pellicola da lui interpretata in un caposaldo imprescindibile del cinema “laterale”
Merito certo della sua bravura come attore ma anche della sua voglia e capacità di scegliersi quasi sempre pellicole scomode: infatti, i titoli che lo hanno reso celebre e che ora diamo per scontati, a cominciare dal mitologico “Voglio la testa di Garcia”, quando sono usciti, spesso e volentieri sono stati dei clamorosi fiaschi al botteghino o addirittura ostracizzati dai distributori.
Segno che a livello artistico era un ganzo ma a livello finanziario un disastro…
Dopotutto che cosa potevamo sperare dall’attore feticcio di un pazzo anarcoide come Sam Peckinpah?
Warren Mercer Oates nasce a Depoy, una piccolissima cittadina del Kentucky, il 5 luglio del 1928, figlio di Sarah Alice e Bayless Earle Oates, proprietario di un grande magazzino.
Frequenta la scuola superiore a Louisville, proseguendo poi con l’Università della stessa città (senza però laurearsi) e il servizio militare nel corpo dei Marines.
All'università si interessa di teatro e nel 1954 si trasferisce a New York per provare a sfondare come attore.
Tuttavia, il suo primo vero lavoro in televisione è, come lo era stato anche per James Dean prima di lui, testare le gag di un concorso a premi per il programma “Beat the Clock” (1950).
Nel periodo in cui fa le audizioni, è costretto a svolgere diversi lavoretti di merda, tra cui quello di buttafuori del locale notturno "21".
Nel 1957 inizia a recitare in film drammatici come “Studio One” (1948), ma il suo forte accento campagnolo sembra più adatto per i western che si stanno diffondendo sul grande schermo, quindi si trasferisce a Hollywood, con la speranza di trovare un lavoro più continuativo, come attore di supporto, sempre più in primo piano, spesso in parti da vizioso o cattivo.
Lo si vede in innumerevoli western televisivi come “Wagon Train”, “Tombstone Territory”, “Buckskin”, “Rawhide”, “Trackdown”, “Tate”, “The Rebel”, “Wanted Dead or Alive”, “Have Gun - Will Travel”, “Lawman”, “The Big Valley” e “Gunsmoke”.
Recita anche in “The Twilight Zone” (in "The Purple Testament" e "The 7th Is Made Up of Phantoms", a fianco di Randy Boone e Ron Foster), “The Outer Limits”, e “Lost in Space” (episodio "Welcome Stranger" del 1965).
Durante gli anni '60 e '70, è la guest-star in spettacoli come “Twelve O'Clock High”, “Lancer” e “The Virginian”.
I suoi primi ruoli per il grande schermo sono in “La guida indiana” (1959), di Gordon Douglas, nel crime “Jack Diamond gangster” (1960), di Budd Boetticher, e nell’avventuroso “L'isola della violenza” (1962), di Leslie Stevens.
Incontra per la prima volta Sam Peckinpah quando interpreta vari ruoli in “The Rifleman” (1958-1963), una popolare serie televisiva di cui il regista gira degli episodi.
Ha un ruolo secondario nella serie di breve durata di Peckinpah “The Westerner” (1960) e la collaborazione continua nei primi film per il grande schermo diretti dal grande filmaker: “Sfida nell’alta Sierra” (1962) e “Sierra Charriba” (1965).
Ed è proprio Interpretando uno dei fratelli Hammond nel capolavoro western “Sfida nell'alta Sierra” (1962), che Oates trova nel folle regista un sincero ammiratore delle sue doti, diventando il suo attore feticcio.
Peckinpah chiama spesso il nostro, tanto che diviene uno di quei rari caratteristi il cui nome e volto diviene familiare come quelli di molte star protagoniste.
Comincia a interpretare ruoli sempre più importanti che, pur rimanendo fortemente caratterizzati, esaltano il suo innegabile carisma.
Appare nei western “Ad ovest del Montana” (1964), “Il ritorno dei magnifici sette” (1967), e “Tempo di terrore” (1967), tutti per la regia di Burt Kennedy, e soprattutto nel capolavoro di Monte Hellman “La sparatoria” (1967), prodotto da Roger Corman e Jack Nicholson, vero film atipico per l’epoca, caratterizzato da atmosfere parecchio morbose.
È poi nel cast del torrido “La calda notte dell'ispettore Tibbs” (1967), di Norman Jewison, nel poliziesco “I sei della grande rapina” (1968), di Gordon Fleming, nel western revisionista “Smith! Un cowboy per gli indiani” (1969), di Michael O'Herlihy, e nella commedia “Gangster tuttofare” (1969), di Jim O'Connolly, con Tell Savalas.
Sempre del 1969 e sempre alla corte di Peckinpah, arriva il film che darà la svolta definitiva alla sua carriera: “Il Mucchio Selvaggio”, capolavoro di estetica violenta che rivoluzionerà per sempre i film di frontiera.
È poi la volta di altri ottimi western: “Uomini e cobra” (1970), di Joseph L. Mankiewicz, con Henry Fonda e Kirk Douglas, “Barquero” (1970), di Gordon Douglas, con Lee Van Cleef, e soprattutto il curioso “Il ritorno di Harry Collings” (1971), diretto e interpretato con spirito hippie da Peter Fonda.
Altro film di culto è “Strada a doppia corsia” (1971), di Monte Hellman, bizzarro road movie che il nostro interpreta a fianco del cantante James Taylor e Dennis Wilson dei Beach Boys.
Interessanti anche il neo-noir “Chandler” (1971), di Paul Magwood, e il neo-western con uno scoppiatissimo Dennis Hopper “Kid Blue” (1973), di James Frawley, mentre si può soprassedere sul romantico “Il ladro che venne a pranzo” (1973), di Bud Yorkin, con Ryan O’Neal.
Oates sarà un indimenticabile “Dillinger”, nella visionaria biografia del leggendario gangster diretta da John Milius nel 1973, e sempre lo stesso anno è nel cast del fantastico debutto alla regia di Terrence Malick, “La rabbia giovane” (1973), a fianco di Martin Sheen e Sissy Spacek, nonché del poco riuscito adattamento in chiave musical del classico “Tom Sawyer” (1973), di Don Taylor.
Con il delirante “Voglio la testa di Garcia” (1974), di Sam Peckinpah, Oates entra definitivamente nell’empireo Pulp, offrendoci la caratterizzazione di uno dei più grandi e dolenti looser della storia del cinema.
Inutile parlare di questo capolavoro assoluto: se non l’avete ancora visto, è ora di rimediare!
Anche i successivi “Cockfighter” (1974), film sullo spietato mondo dei combattimenti di galli girato da Monte Hellmann, e “In corsa con il diavolo” (1975), un horror veramente atipico firmato da Jack Starrett, e interpretato insieme a Peter Fonda, son diventati a buon diritto dei film culto.
Di nuovo con Peter Fonda gira il drammatico “92 gradi all'ombra” (1975), di Thomas McGuane, poi è la volta dell’action “Dixie Dinamite & Patsy Tritolo (1976), di Lee Frost, del tremendo “Drum, l'ultimo mandingo” (1976), di Steve Carver, con Pam Grier, e del thriller distopico “Unica regola vincere” (1977), di Roger Donaldson
Torna poi a lavorare con Monte Hellmann nel western “Amore, piombo e furore” (1978), con Fabio Testi, mentre i film successivi vedono Warren al servizio di tre mostri sacri hollywoodiani: William Friedkin con l’heist-movie “Pollice da scasso” (1978), Steven Spielberg con il divertente “1941 - Allarme a Hollywood” (1979), e Ivan Reitman nella commedia militaresca “Stripes - Un plotone di svitati” (1981), dove il nostro interpreta la parte del feroce sergente istruttore Hulka.
L’ultima sua apparizione è nel poliziesco “Frontiera” (1982), di Tony Richardson, al fianco di Jack Nicholson e Harvey Keitel.
Oates si becca una bella influenza nelle settimane che precederanno la sua morte.
In realtà sono già sei mesi che accusa dolori al petto, ma dai dottori non ci vuole andare.
Il 3 aprile del 1982, a soli 53 anni, Warren muore di infarto durante un sonnellino pomeridiano nella sua casa di Los Angeles, in California.
Un'autopsia determinerà che l’attore aveva una malattia polmonare ostruttiva cronica provocata presumibilmente dalle tonnellate di sigarette che aspirava avidamente.
I suoi ultimi due film, “Il duro più duro” (1983) (girato alla fine del 1981), di Richard Fleischer, e “Tuono blu” (1983) (girato all'inizio del 1980), di John Badham, escono più di un anno dopo la sua morte e vengono dedicati alla sua memoria
Dopo il suo funerale, in accordo con i suoi desideri, il suo corpo viene cremato e le sue ceneri disperse nel suo ranch nel Montana.
Eh sì, è proprio vero: il tabacco l’ha ridotto in cenere sul serio…
Onore a Warren Oates!
“I feel most uncomfortable in a western role, because my image of the western man is John Wayne and I'm just a little shit.”
Warren Oates