Chi ci conosce almeno un po’ sa benissimo che noi non amiamo la musica elettronica: rispetto ai nostri gusti e al nostro modo di intendere il rock’n’roll, l’elettronica sta agli antipodi.
Preferiamo suonare (male) e vedere gente che suona (male) degli strumenti veri che arrenderci a computer e sintetizzatori, che affidarci a programmatori e spippolatori vari.
Non ci emoziona la musica “sintetica”, non ci possiamo fare niente.
Lo sappiamo, cari amici dei Mutzhi Mambo, su questo punto siamo ottusi, antiquati, sorpassati e retrogradi ma questo è quanto…
Chiaramente però ci sono delle eccezioni.
Come l’immagnifico ALAN VEGA e i suoi Suicide, ad esempio!
Alan Vega è stato un genio assoluto, un innovatore, forse il più importante cantante degli anni ’70.
E non pensiate che sia una esagerazione!
La sua è la colonna sonora dell’incubo urbano, dell’alienazione tossica, della follia della modernità; nessuno come lui ha dato voce agli abissi della tossicodipendenza, alla degradazione umana e morale delle metropoli, all’angoscia del looser.
Vega nasce come artista d’avanguardia, ma la sua arte e la sua musica non sono state mai finite nei musei.
Folgorato dagli Stooges (pure lui…), capisce che si può fare arte di protesta anche col rock’n’roll e fonda, con lo strumentista Martin Rev, i Suicide, forse il primo duo elettronico della storia.
Una formula, che a partire da loro, avrà una valanga di seguaci e si ripeterà principalmente negli anni ottanta, in chiave anche pop.
La loro musica, una sorta di rockabilly destrutturato e accompagnato da un’elettronica minimale, quasi primordiale, non si era mai sentita prima.
Sono la scintilla che ha dato vita a un’infinità di altre esperienze musicali: dalla No Wave newyorchese al post punk, dalle prime esperienze industrial al synth pop ironico e malato dei primi Soft Cell, tutti sono stati influenzati dai Suicide.
La proto-new wave dei Cabaret Voltare, Billy Idol nella sua fase cyberpunk, i Sigue Sigue Sputnik, con il loro techno rockabilly parruccone, ma anche Nick Cave, Henry Rollins, i Depeche Mode, i Sonic Youth, il metal industriale dei Ministry, il nichilismo sonico degli Swans, i Prodigy, i Nine Inch Nails, fino a Springsteen (volendo tacere roba tipo Erasure, Pet Shop Boys e Bronsky Beat…), sono tutti personaggi che hanno un qualche debito creativo con Alan Vega.
Proprio intorno al suono dei Suicide si forma l’idea di un post rock artificiale, tra riverberi di Elvis e Lou Reed, rumorismo, elettronica e dance music.
E Alan Vega, con la sua voce spettrale, evocativa, alternata ad urla lancinanti, sul palco era sempre lì a provocar risse e ad infliggersi ferite: era oltraggioso, era irriverente, era coraggioso, era punk prima della nascita ufficiale del punk.
Anzi, una delle prima volte che l’espressione “punk rock” è comparsa è stata proprio su un manifesto dei Suicide nel lontano 1970.
Non inventano loro la parola: la prendono da un articolo di Lester Bangs sugli Stooges, ma saranno i primi a descrivere la loro musica come punk.
L’immaginario da incubo post-industriale e post-rock’n’roll dei Suicide si svilupperà poi nel corso di cinque album e di una manciata di live.
La carriera solista di Alan Vega continuerà di pari passo, sempre sotterranea, sempre “outcast”, sempre avanti a tutto e tutti, con una serie di album realizzati tra il 1980 e il 2017.
Alan Bermowitz nasce a Brooklyn, New York, il 23 giugno del 1938, ma fino al 2008 tutti pensano che abbia dieci anni di meno.
Mente anche sulla sua famiglia, facendo credere di avere origini portoricane e di religione cattolica.
In realtà la famiglia è ebraica ma fa più fico passare da ispanico...
A metà anni ’60 è iscritto al Brooklyn College, dove studia fisica e belle arti con l’astrattista Ad Reinhardt e il surrealista Kurt Seligmann; si laurea nel 1967.
Entra a far parte della “Art Workers’ Coalition”, un gruppo di artisti radicali che commettono atti vandalici nei musei fino ad arrivare ad alzare delle barricate al “Museum of Modern Art”.
Grazie a degli stanziamenti statali, viene fondato a Manhattan, il “Project of Living Artists”, un museo multimediale aperto 24 su 24.
Qui Bermowitz, ribattezzatosi Alan Suicide (da “Satan Suicide”, un cattivo di “Ghost Rider”, il suo fumetto preferito), inizia la sua carriera come artista visivo, guadagnando notorietà per le sue "sculture di luce".
L’innovativa galleria servirà come base per artisti del calibro di New York Dolls, Television e Blondie e di un gruppo free jazz di 15 elementi chiamato Reverend B.
In questo ensemble milita al piano elettrico un musicista di nome Martin Reverby che diventa amico di Alan.
Ben presto, i due (che cambiano i cognomi in Vega e Rev) formano una band, insieme al chitarrista Paul Liebgott.
Si fanno chiamare “Nasty Cut” e, nei volantini promozionali, si definiscono “Punk Music”.
Dopo poco Liebgott se ne va e prendono Mari Reverby alla batteria che però non suonerà mai dal vivo con loro.
La svolta nel 1975, quando Martin scova una vecchia drum machine degli anni ’50 e l’accoppia alla sua tastiera Farfisa: non hanno bisogno di nessun altro per creare il sound che cercano.
Rev avrebbe fornito suoni minimalisti, spettrali, ipnotici con tastiere e sintetizzatori dissonanti e una martellante batteria sintetica di sottofondo, mentre Vega canta, a volte vagheggiando, a volte sussurrando, a volte urlando, spesso ripetendo ossessivamente il solito refrain.
I testi raccontano torbide storie di sesso, di diasagio, di morte, di guerra e di droga.
Si inseriscono nella scena glam rock di NY, quella marcia delle New York Dolls per intenderci, anche se non c’è sicuramente nulla di glamour nella loro proposta!
Nel 1977, dopo numerose esibizioni (spesso sfocate in violenze) al CBGB’S, esce il loro fondamentale, omonimo album d’esordio.
Troppi i pezzi eccezionali in questa pietra miliare: la litania di “Cherie”, il rockabilly di “Johnny”, il proto-industrial di “I Remember”, l’ossessione di “Ghost Rider”, il pessimismo cosmico di “Franke Teardrop”…
Ma tutta la scaletta è una discesa all’inferno della suburra newyorchese e il disco nel suo insieme ha un’invidiabile compattezza e coerenza interna; risulta quasi un tutt’uno inscindibile.
È un disco incredibile, seminale, che ispirerà plotone di adepti ma che non potrà mai essere imitato da nessuno, nemmeno dagli stessi Suicide.
Il secondo album, “Alan Vega/Martin Rev”, uscito un po’in sordina nel 1980, scivola un po’ sul versante disco music, lontano dalle atmosfere malatissime (e irripetibili) dell’esordio ma rimane un prodotto comunque assolutamente interessante.
Fra le canzoni (canzoni?) spicca la disperazione di “Harlem”, affresco apocalittico e selvaggio del quartiere nero più marcio della Grande Mela (marcia).
Purtoppo il duo si separa per qualche anno e Alan e Martin intraprenderanno carriere parallele.
Lo stesso anno Vega pubblica infatti il suo primo, omonimo, disco solista, un disco favoloso che, continuando sulla falsariga dell’elettro-rockabilly, risulta solo apparentemente più commerciale dei Suicide.
Si ricordano il singolo “Juke-box Baby” (dal videoclip allucinato), “Fireball”, “Speedway” (che anticiperà il sound dei Gun Club), “Lonely”, “Bye Bye Bayou”, ma anche qui la scelta è ardua.
Ottimo anche il secondo, “Collision Drive” (1982), con pezzoni come “Magdalena 82”, “Outlaw”, “Rebel Rocker”e la cover in salsa psichobilly di “Be-Bop-a-Lula” (questa versione i Demented are Go se la sono mandata giù a memoria…).
Col terzo album, “Saturn Strip” (1983), Vega tenta di conciliare il suo rockabilly apocalittico con arrangiamenti disco-music più potabili; anche il modo di cantare si avvicina di più al Lou Reed del periodo Velvet Underground.
Prodotto da Rick Ocasek dei Cars, vanta la collaborazione di Al Jorgensen dei Ministry sul singolo “Saturn Drive” e almeno un pezzo memorabile come “Wipeout Beat”; venderà un po’ meglio ma manca della vena più sotterranea del nostro.
Le relazioni con la Elektra Records, che aveva pubblicato “Saturn Strip” si inaspriscono durante la produzione di “Just a Million Dreams” del 1985, tanto che l’etichetta tenta addirittura di escluderlo dalle sessioni di registrazione; colpa anche della produzione patinata di Chris Lord-Edge, ne risulterà un album dai suoni pop assolutamente fuori linea rispetto ai lavori di Vega (il quale disconoscerà tutta l’operazione).
I Suicide si riformano brevemente nel 1988, dando vita al loro terzo album, “A Way of Life”, album più freddo, asettico, ma in compenso non male.
Certo il debutto rimane un’altra cosa ma è utile confrontare “Juke-box Baby 96” fatta dai due insieme rispetto a “Juke-box Baby” cantata dal solo Vega nel suo primo disco solista, per capire di che pasta sono fatti comunque i Suicide...
All'inizio degli anni ’90, Alan inizia a esplorare nuovi media: “Deuce Avenue War / The Warriors v3 97”, il suo primo libro di fotografia, esce nel 1990, mentre “Cripple Nation”, una raccolta di prosa e testi, viene pubblicato nel 1991.
Dopo l'uscita degli album solisti di Vega, l’inascoltabile “Deuce Avenue” (1990), in collaborazione con la moglie Liz Lamere, e il debole “Power on to Zero Hour” (1991), i Suicide si riuniscono di nuovo per un tour.
A questo segue il quarto album del duo, “Why Be Blue” (1992) che poco aggiunge (ma nulla toglie) alle prove precedenti.
Anche il successivo disco solista del 1995, “New Raceion”, non è un granché ma l’anno dopo, torna in pista con l’allucinato “Dujang Prang”, sempre con la Lamere.
L’ottimo “Cubist Blues”, registrato con Alex Chilton e Ben Vaughn, viene pubblicato nel 1996, così come “Getchertikitz” con l’amico Rick Ocasek e Gillian McCain.
Alan collabora poi con il duo elettronico finlandese Pan Sonic sotto lo pseudonimo Vainio Väisänen Vega, dando vita all'album “Endless” del 1998.
Tornerà a lavorare coi Pan Sonic nel 2005 con “Resurrection River”.
L’album solista “2007”, sempre registrato con la moglie, e l'apparizione nell'album “Re-Up” di Étant Donnés, insieme a Genesis P-Orridge e Lydia Lunch, sono entrambi del 1999.
Nel 2002 i Suicide si riuniscono per l’ultima volta con “American Supreme”, album più rilassato in cui si sentono pure influenze hip pop.
Nel 2007, Vega pubblica l'album “Station” e collabora con Marc Hurtado (metà del duo Étant Donnés), producendo “Sniper” nel 2010.
Un ictus, sofferto nel 2012, limita di molto le attività del nostro che preferisce dedicarsi alla pittura.
Vega muore nel sonno il 16 luglio del 2016 a New Yo, mentre sta lavorando al nuovo disco, “IT”, uscito postumo l’anno successivo.
Inutile dire che con lui è morto un pezzo di storia.
E non solo del rock’n’roll…
Onore a Alan Vega!
“…Ghost rider motorcycle hero
Hey, baby be be be be, he's a screamin' the truth
America, America is killin' its youth
Hey baby be be be be, he's a screamin' away
America, America is killin' its youth
America, America is killin' its youth…”
Suicide – Ghost Rider