Contro questo caldo assassino, cari amici dei Mutzhi Mambo, ci vogliono un po’di vecchi sani brividi!
E chi meglio del Maestro WES CRAVEN è in grado di assicurarceli?
Autentico vate del cinema horror, Wes Craven ci ha donato almeno due “maschere” ormai classiche dei film “de paura”, ovvero Freddy Krueger e L’Assassino di Scream.
Formatosi nell'ambito delle correnti innovative del new horror anni Settanta, è divenuto nei decenni successivi uno dei registi di punta del genere.
Era veramente un drago quando si trattava di creare dei momenti di tensione, sapeva calibrare sapientemente i tempi cinematografici per donarci attimi di suspense indimenticabili.
Inoltre era un vero esteta della violenza, una violenza volutamente eccessiva e a tratti grottesca, che usava come grimaldello per mettere a nudo le ipocrisie della società bigotta a Stelle e Strisce: quella che esce dalla macchina da presa di Craven è sempre e comunque un’ “America da Incubo”!
Probabilmente non è stato il più bravo filmaker dell’orrore di sempre, altri hanno realizzato pellicole ben più spaventose ed angoscianti e la sua produzione ha una qualità troppo discontinua, però è stato l’unico a riuscire a dettare legge per ben 3 decenni: in ogni decade, dagli anni ’70 ai ’90, un suo film ha rimescolato le carte, fornendo un nuovo approccio alla paura filmata.
Nel 1972 dà scandalo con “L’Ultima Casa a Sinistra”, con cui praticamente inventa il famigerato e morbosissimo filone “rape e revenge” (in realtà il primo film del genere è considerato “La fontana della vergine”, capolavoro del 1960 di Ingmar Bergman, ma non era un horror…); nel 1977, con “Le colline hanno gli occhi”, gira uno dei capostipiti degli slasher-movie; nel 1984 ridefinisce il rapporto fra incubo e realtà con “Nightmare”; ed infine, nel 1996, rimette in discussione tutti gli stereotipi del cinema horror (molti dei quali creati da lui stesso...) col divertente “Scream”; purtroppo, con questa pellicola, ha dato anche la stura tutti quegli orribili college-horror che sono seguiti e di cui, francamente, non sentivamo la mancanza…
Nessuno, anche maestri che a noi francamente piacciono di più, specie nell’ambito del terrore, può vantare una tale capacita di rinnovarsi e rinnovare così a lungo...
Senza contare che poi, nel mezzo, ci ha saputo regalare altre pellicole altrettanto succulente…
Wesley Earl Craven nasce a Cleveland, in Ohio, il 2 agosto del 1939.
Proveniente da una famiglia operaia e molto religiosa, si laurea in lettere e filosofia a Baltimora.
Prima di intraprendere la carriera cinematografica, si barcamena in mille attività tra cui il professore di lettere, chitarrista in un gruppo rock e tassista a New York.
Gli piace però lavorare per il grande schermo e si fa assumere come tuttofare per una piccola casa di produzione.
Impara “rubando con gli occhi” il mestiere e, da autodidatta, si impratichisce dei primi rudimenti di montaggio, facendo poi qualche lavoretto in proprio per spot pubblicitari e filmatini pornografici.
Approda al cinema vero e proprio nel 1971 come produttore di “Together”, un soft-core diretto da Sean Cunningham, con una giovanissima Marylin Chambers propina della svolta hardcore.
Nel 1972 l’esordio alla regia con “L'ultima casa a sinistra”, prodotto a sua volta da Cunningham, un horror a basso costo girato in sole quattro settimane, violento e a tratti delirante.
La storia è ispirata a “La fontana della vergine”, di Ingmar Bergman, e tratta di due ragazze violentate e uccise da dei bruti che poi hanno la sfiga di rifugiarsi proprio in casa dei genitori di una delle vittime (che, giustamente, si vendicheranno…)
Il film viene cassato senza attenuanti dalla critica, che lo considera immorale, brutale, morboso, misogino, disgustoso e chi più ne ha ne metta, ma avrà un discreto successo (a volte certe critiche fanno bene…) e inaugurerà il cosiddetto filone “rape e revenge”, uno dei più fetenti della storia del cinema.
Sotto lo pseudonimo di Abe Snake, il nostro gira “La cugina del prete” (1975), un pornaccio vero e proprio che parla di incesto (la “cugina” del titolo italiano, in realtà è la sorella del prete!), religione e critica sociale.
Craven usa stavolta il sesso esplicito per continuare a puntare il dito contro la fatiscente e ipocrita società americana; tra l’altro mette in scena uno degli stupri più disturbanti mai filmati.
La pellicola mantiene l’aria malsana che contraddistingue anche l’esordio di Craven ma è molto più onirica e visionaria, e nonostante sia un hardcore, è di molto superiore alla media del genere: si può quasi dire che sia un porno “d’autore”, in cui sono comunque rintracciabili i punti chiave della poetica del nostro.
Nel 1977 dirige poi il cultissimo “Le colline hanno gli occhi”, in cui una famiglia in viaggio in camper si scontra, in un duello all'ultimo sangue, con un gruppo di mostruosi cannibali minorati mentali.
Il film fa il paio col capolavoro di Tobe Hooper, “Non Aprite Quella Porta” (1974), nel presentare la più oscura provincia americana come culla della più bestiale e immotivata violenza.
Dopo è la volta del film TV “Summer of Fear” (1978) e del thriller ambientato fra gli amish “Benedizione mortale” (1981).
Con “Swamp thing - Il mostro della palude” (1982), Craven prova a tradurre sul grande schermo il personaggio di culto della DC, creato da Len Wein e Bernie Wrightson (e che successivamente farà la fortuna di Alan Moore) ma i risultati sono alquanto modesti….
Per fortuna, dopo il dimenticabile TV movie “Invito all’Inferno” (1984), arriva “Nightmare ‒ Dal profondo della notte” (1984), con cui il nostro, ispirandosi a casi reali di alcuni adolescenti morti durante sonni particolarmente agitati, reinventa la figura archetipica dell'uomo nero, qui impersonato da un indimenticabile Freddy Krueger/Robert Englund, il mostro che entra nei sogni dei ragazzi per ucciderli.
Costato all'epoca due milioni di dollari, ne incassa ventisei e darà origine a una fortunata serie.
Dopo aver lasciato ad altri la regia dei sequel, realizza 5 episodi della nuova serie “Ai Confini della realtà” (1985-1986)
Dirige poi con la mano sinistra “The hills have eyes ‒ Part II” (1985) e il melenso “Dovevi essere morta” (1986), storia di una ragazza uccisa dal padre alcolizzato che viene “ricreata” dal fidanzato per trasformarla in una spietata macchina omicida.
Ma il miglior Craven tornai pompa magna nel 1988 con “Il serpente e l'arcobaleno”, inquietante storia tra politica e vodù ambientato nella Haiti di F. Duvalier.
Proseguendo nella sua ossessione per gli incubi, Wes ci mostra una dittatura che controlla l'opposizione al regime intervenendo nei sogni e trasformando in morti viventi i ribelli.
A tutt’oggi risulta inoltre il film zombistico più legato e fedele alle vere osservazioni antropologiche sui riti vudù.
Nel 1989 Craven rivolge il suo acuto sguardo verso la televisione visto come mezzo più pervasivo e spaventoso del mondo contemporaneo: in “Sotto shock” è infatti l'universo dei mass media che viene messo in discussione, con il diabolico Horace Pinker (purtroppo interpretato da un affatto convincente Mitch Pileggi) che, dalla sedia elettrica, si smaterializza nell'etere e penetra nelle case.
Segue il loffio thriller “Delitti in forma di Stella” (1990) e il miglior horror “La casa nera” (1991), l'inquietante storia di una casa stregata, in realtà metafora di un'intera società chiusa in sé stessa.
Ritorna al suo amato Freddy Krueger con la deliziosa serie “Nightmare ‒ Café” (1996), purtroppo interrotta dopo soli 6 episodi.
Con “Nightmare ‒ Nuovo incubo” (1994), settimo e ultimo episodio della serie, Craven compie una deliziosa operazione di metacinema, mettendo in scena sé stesso, i suoi attori, le loro ville hollywoodiane, tutti coinvolti fino in fondo nel meccanismo perverso della fiction, dentro cui il mostro Freddy Krueger vive e li terrorizza.
Immaginario collettivo e fantasia si mescolano in un incubo davvero infernale, che nuovamente cambia le carte in tavola del cinema dell'orrore.
Dopo la commedia-horror “Vampiro a Brooklyn” (1995), tentativo fallito di rilanciare Eddie Murphy come succhiasangue (mai idea fu più balzana, soprattutto perché non è una parodia…), il nostro realizza “Scream (1996), opera 'teorica', ossessivamente autoreferenziale e di grande successo.
Con essa ha trasformato l'orrore in un gioco metafilmico che mette in scena personaggi-spettatori portando progressivamente alla perdita del punto di vista.
Vedetevela come vi pare ma è un capolavoro.
Dopo l'inutile “Scream 2” (1998) e la bizzarra e inaspettata (ma anche no..) incursione nel mélo de “La musica del cuore” (1999), con Meryl Streep e Aidan Quinn, Craven realizza nel 2000 “Scream 3”, in cui la saga ormai non diverte nemmeno più, essendo esaurita totalmente la carica eversiva del primo film della serie.
Il giochino di specchi della metanarrazione ormai è fine a sé stesso, fa tanto parodia della parodia…
Molto meglio il successivo “Cursed” (2005), un horror un po’vecchio stampo ma valido, e il thriller “Red Eye” (2005): nulla di ché ma qualche attimo di sana tensione lo regala.
Ormai però quello che Wes ha da dire, lo ha già detto, e chiuderà la carriera col brutto “My soul to take” (2010) e l’ennesimo “Scream 4” (2011), quasi un remake del primo: sicuramente migliore dei due precedenti sequel, anche per una robusta dose di (auto)ironia, si fa guardare, soprattutto in anni in cui il torture porn impera (e alla fine annoia…).
Negli ultimi anni comunque si dedica soprattutto alla produzione e alla sceneggiatura, mettendo mano a “Dracula’s Legacy”, il remake del suo “Le colline hanno gli occhi”, con relativo sequel, “Feast”, “The Breed”, “L’Ultima Casa a Sinistra” e la serie TV tratta da “Scream”.
Nel 1999 pubblica pure un romanzo, “La Società degli Immortali”.
Malato da tempo di cancro al cervello, il Maestro ci lascia il 30 agosto del 2015.
Fortunati noi, che rischieremo meno di farci venire un infarto guardando i suoi film!
Onore a Wes Craven!
“L'uomo nero non è morto
Ha gli artigli come un corvo
Fa paura la sua voce
Prendi subito la croce
Apri gli occhi, resta sveglio
Non dormire questa notte.”
Fred Krueger/Robert Englund - "Nightmare - Dal profondo della notte"