Finalmente! Dopo una lunga, misteriosa latitanza, ritornano dal vivo i letali MUTZHI MAMBO! E che giorno scelgono per TORNARE DAL VIVO? Ma il GIORNO DEI MORTI, come potrebbe essere altrimenti! E ci...

Orgogliosissimi di essere stati nominati in questo benemerito programma! Siamo infatti stati citati, col nostro nuovo album IL MALE È DENTRO, in WONDERLAND, un programma televisivo, in onda su Rai 4...

UN ALTRO GIORNO ALMENO, il primo video tratto dall'album "Il Male è Dentro" è su YouTube! È giusto ammazzare in nome di Dio (o come vi piaccia chiamarlo)? Una domanda quanto mai attuale, cari amici...

LA MAFIA CHE POESIA...

Ora che i coreani hanno vinto pure l'Oscar, è il momento di festeggiare un grande regista giapponese!
Ma che c'entra, direte voi, mica i coreani sono giapponesi?!
Lo sappiamo, cari amici dei Mutzhi Mambo, lo sappiamo, era solo per entrare nello spirito Pulp più gretto, in quel mondo in cui del mondo si conosceva poco o nulla e si facevano volentieri grossolane semplificazioni etniche, culturali e geografiche: i selvaggi erano tutti neri e cannibali, le bestie stavano tutte insieme nella foresta, gli arabi avevano tutti harem e cammelli, la musica latina andava da Roma a Buenos Aires, passando per L'Avana e Rio de Janeiro, i Tedeschi tutti nazi, i Russi (e vicini vari) tutti comunisti e fra Coreani, Vietnamiti, Cinesi, Filippini e Giapponesi, non si andava troppo per il sottile, erano tutti mangiariso...

Seijun Suzuki7Ora, per fortuna (?) quel mondo non c'è più, o meglio c'è ancora, eccome!, ma viene biasimato dai radical chic e ci tocca a fare i precisini...
A parte scherzi e battute (che speriamo non offendano nessuno e sennò pazienza...), oggi dobbiamo celebrare l'inafferrabile arte di SEIJUN SUZUKI, vero outsider del cinema del Sol Levante!
Noto per l'efficienza e lo stakanovismo, Suzuki ha esplorato in decine e decine di film molti generi popolari prima di specializzarsi su quello della mafia giapponese, confezionando via via pellicole sempre più sperimentali e spesso deliranti che influenzeranno profondamente il Pulp a venire.
Registi come Quentin Tarantino, John Woo, Ringo Lam, Jonnie To, Jim Jarmusch, Takashi Miike, Wong Kar-wai, Tsui Hark, Nicolas Winding Refn e Takeshi Kitano (ma la lista potrebbe allungarsi a dismisura) continuano a tributare doverosi omaggi al maestro.
Col procedere della sua carriera il suo stile ha messo totalmente in discussione i canoni dei generi cari al pubblico, generando il malcontento degli spettatori e dei produttori, fino a quando a causa di "La farfalla sul mirino", che diventerà paradossalmente anche il suo film più celebre, verrà ostracizzato dall'industria cinematografica per dieci anni.
Certo, ridurre Suzuki a mero sperimentatore fine a sé stesso di forme e colori, a picconatore in salsa wasabi degli archetipi hard boiled, a sabotatore dei banali ingranaggi narrativi condannati all'infinita replica di se stessi, è ingeneroso e fuorviante.
Purtroppo ben presto il genere "Yakuza-eigà", di cui il nostro sarà uno dei maggiori interpreti e innovatori, si era codificato come filone autonomo munito di tutto un armamentario di canoni da rispettare alla lettera, ed era divenuto la forma privilegiata di intrattenimento popolare, capace di forgiare per i giapponesi un immaginario non meno cristallizzato di quello del cinema western per gli americani.
Di filiazione teatrale, fondati com’erano sul dualismo di matrice "kabuki" tra "dovere" e "sentimento", gli Yakuza movie finirono per trasformarsi nel simbolo di una nazione e di un popolo combattuto tra un passato mitico e ideale e la nuova realtà che faceva i conti con l'etica del consumismo affermatasi dopo la perdita della guerra e il successo dell’industrializzazione e dell’espansione economica.

Seijun Suzuki3Si aprì di conseguenza una stagione produttiva straordinariamente prolifica, fatta di grandi maestri (Tai Katô, Tomu Uchida) e valenti artigiani (Kōsaku Yamashita, Masahiro Makino), ma la sovrapproduzione finì per irrigidirne la confezione.
Ben presto i film sui mafiosi del Sol Levante divennero prodotti praticamente identici, con trame simili, messinscene assolutamente prevedibili e ruoli stereotipati al massimo, simboli di un cinema conservatore ed immobile; ma grazie ad alcuni cineasti, come Masahiro Shinoda ed il nostro Suzuki, il genere seppe rinnovarsi e addirittura diventare veicolo di novità e interrogativi, mettendo a nudo le fragili certezze di un paese costretto ad affrontare la modernizzazione a tempi record.
E nulla come gli "anarchici" film di Suzuki, furono in grado di indicare la via di questo passaggio...
Il suo universo creativo era basato sulla violenza, ma dietro c'era sempre ironia, umorismo nero, mischiati con l'immancabile senso dell'onore nipponico, col surrealismo con l'attenzione verso i solitari, i disperati, i perdenti, i fuorilegge.
La violenza e l’erotismo, le due costanti invariabili del suo cinema, vengono poi declinate in un'ottica tutta particolare: Suzuki filma le sparatorie come fossero jam session jazz, le colluttazioni come fossero orgasmi, gli amplessi come fossero sparatorie!
Lasciava largo campo all'improvvisazione, tanto nella messinscena quanto nella recitazione, e alla casualità, che da cialtrona diventerà con lui geniale.
Un vero "melting pot", quindi, molto ma molto Pulp...

Seitaro Suzuki (così all'anagrafe) nasce a Nihonbashi, uno dei quartieri storici di Tokyo, il 23 maggio del 1923.
A vent'anni si arruola nell'esercito per combattere al fronte, dove si rende conto dell'assurdità della guerra e rischia pure la corte marziale per diserzione.
Tre anni dopo, nel 1946, passa l'esame di ammissione per entrare, come aiuto regista, alla Kamakura Academy.
Si lega alla celebre casa di produzione Nikkatsu, specializzata in film a bassissimo budget e di durata ridotta, destinati alla doppia proiezione e perlopiù incentrati sulle problematiche giovanili.
Debutta, come regista in carica, nel 1956, con un musical impastato con elementi yakuza, dal titolo "Il brindisi del porto – La vittoria a portata di mano", che già lascia intravedere le sue doti, guadagnandosi subito fama di essere esecutore veloce, professionale, di successo: nei primi anni dirige una media di tre o quattro film all'anno, spaziando su vari generi ma prediligendo, di base, il genere "yakuza-eiga", i film sulla malavita giapponese.
Sono dieci anni di produzioni intensissime e di alterna qualità: a Suzuki, sembra col senno di poi, interessa girare in velocità e sperimentare il più possibile con la camera, con i colori, con le scenografie, con il montaggio.
Dei suoi film del suo primo periodo vanno recuperati anche l'erotico "Underworld Beauty"(1958), ispirato al primo Stanley Kubrick, "Assalto al blindato" (1960), miscela esplosiva e liberissima di heist movie e detective story, influenzato da Robert Aldrich e Robert Siodmak.
La svolta decisiva avviene nel 1963, grazie a quattro film che incontrano da subito i favori del pubblico e della critica: il giovanilistico "Bastard", lo yakuza movie "The Woman Sharper", e i violenti gangster movie "La giovinezza di una belva umana", incentrato sulla lotta al narcotraffico, e "Ufficio investigativo 2-3: crepate bastardi!".
Dopo firma "Barriera di carne – La porta del corpo" (1964), squallido e drammatico ritratto di puttane e delinquenti, "Storia di una prostituta" (1965), in cui la vicenda di una giapponese che fa il "mestiere" al fronte diventa metafora dell'assurdo sforzo bellico in Manciuria, ed "Elogio della lotta" (1966) che mette beffardamente in scena il fallito tentativo di colpo di stato dei reparti militari vicini all’estrema destra del 26 febbraio del 1936.
Con "Una generazione di tatuati" (1965) e "Il vagabondo di Tokyo" (1966, a.k.a "Tokyo Drifter"), i suoi yakuza movie prendono definitivamente la via di una ricerca estetico-narrativa fatta di squarci surreali e divagazioni jazzistiche, alternando esplosioni di violenza ad assurde pause metafisiche.

Seijun Suzuki8
Il suo progressivo sperimentalismo arriva a schematizzare le trame attraverso il montaggio e a trasfigurare i personaggi in figure iconiche che si muovono più in modo coreografico che realistico tra scenografie spesso vistosamente finte.
Nel 1967, dopo il flop de "La farfalla sul mirino", entra in aperto conflitto con il presidente della Nikkatsu, Hori Kyusaku, che bolla il film come "incomprensibile" e licenzia in tronco il nostro.
Questa lotta dei killer giapponesi per dimostrare di essere i migliori si rivela una pellicola completamente destrutturata, un esempio di pura pop art, ritmato come si trattasse di un’improvvisazione di Charlie Parker: pur prendendo spunto dalle produzioni occidentali, si distacca completamente dai riferimenti, creando un plot inesistente, dove conta solo l'eleganza e la fantasia della messinscena e l'estetica della violenza.
In undici anni, aveva realizzato ben 39 film, accumulando grande esperienza anche con gli attori e con le star dell'epoca ma dopo questo capolavoro, nei successivi 50 ne girerà solo otto; per dieci anni sarà addirittura costretto a lavorare solo per la televisione, dove peraltro continuerà la sua sistematica opera di sperimentazione e sovversione dei generi attraverso le forme della regia e della messinscena.
Torna al cinema solo nel 1977, con "A Tale of Sorrow and Sadness", film ibrido tra thriller patinato e ossessione sociopatica, un’opera che ricorda da vicinno gļi action di Don Siegel.
"Zigeunerweisen" (1980), inaugura la cosiddetta “Trilogia dei racconti dell’epoca Taishō” che troverà compimento nei successivi "Kagero-za" (1981) e "Yumeji" (1991): un’epopea sommessa, che racconta gli anni Venti del Giappone tra suggestioni europee e storie di fantasmi, drammi e mélo.
Nel 1985, quando il regista ha già più di sessant’anni, dirige un paio di film più leggeri: la commedia sgangherata "Capone Cries a Lot", e soprattutto "Lupin III – La leggenda dell’oro di Babilonia", unica incursione di Suzuki nel mondo dell’animazione, in co-regia con Shigetsugu Yoshida.

Seijun Suzuki1
Torna a farsi rivedere con "Pistol Opera" (remake del suo film più celebre e sfortunato), ennesimo tassello pop sull'analisi della yakuza presentato al Festival di Venezia nel 2001
"Princess Raccoon" (2005), con il quale si conclude la carriera di Suzuki, è l’epitaffio perfetto: un universo fantastico, che mescola suggestioni cinesi e occidentali (l’idea stessa di “operetta”), e procede a ritmo sfrenato verso la liberazione della mente, del corpo, e di tutto ciò che grava loro attorno.
Il grande regista è venuto a mancare, all'età di 93 anni, il 13 febbraio del 2017, in seguito a una broncopneumopatia cronica ostruttiva.
Purtroppo nessuno è mai stato in grado di comprendere fino in fondo la filmografia di Suzuki: troppo giapponese per gli occidentali, troppo bizzarro per i giapponesi.
Va da sé che non saranno molti in grado di seguire davvero le sue orme...
Onore a Seijun Suzuki!

"I make movies that make no sense and make no money."
Seijun Suzuki

Almanacco Pulp dei Mutzhi Mambo

  • Eric Burdon

    Informazioni
    11 Maggio
    Continua la sagra degli "sconvoltoni" del rock'n'roll, con uno dei più genuini e "vissuti" personaggioni del nostro genere preferito: il fantastico ERIC BURDON, il cantante degli Animals!Quando... Eric Burdon
  • Rubem Fonseca

    Informazioni
    11 Maggio
    NERO CARIOCA Siamo davvero spiacenti, cari amici dei Mutzhi Mambo, ma ancora una volta ci siamo lasciati sfuggire un lutto, e ché lutto!Oddio, solo colpa nostra non è: sarà stato il virus a... Rubem Fonseca
  • Sid Vicious

    Sid Vicious

    Informazioni
    10 Maggio
    Per tutti quelli che pensano che il punk '77 sia stato solamente un fenomeno di moda...Signore e Signori, il "Peggior incubo dell'Inghilterra": questo è stato SID VICIOUS, aldilà dei suoi... Sid Vicious
  • Joan Crawford

    Informazioni
    10 Maggio
    Il bello delle divinità antiche è che non erano affatto “buone”.Specie le Dee erano bellissime, sfolgoranti, fortissime, potentissime, magnificenti ma pure vanitose, irascibili, gelose, vendicative,... Joan Crawford