Finalmente! Dopo una lunga, misteriosa latitanza, ritornano dal vivo i letali MUTZHI MAMBO! E che giorno scelgono per TORNARE DAL VIVO? Ma il GIORNO DEI MORTI, come potrebbe essere altrimenti! E ci...

Orgogliosissimi di essere stati nominati in questo benemerito programma! Siamo infatti stati citati, col nostro nuovo album IL MALE È DENTRO, in WONDERLAND, un programma televisivo, in onda su Rai 4...

UN ALTRO GIORNO ALMENO, il primo video tratto dall'album "Il Male è Dentro" è su YouTube! È giusto ammazzare in nome di Dio (o come vi piaccia chiamarlo)? Una domanda quanto mai attuale, cari amici...

La favola del rospo che diventa principe è vera, cari amici dei Mutzhi Mambo, se il rospo in questione è il grandissimo PETER LORRE, vero principe della scena! 
Con il suo volto espressivo ma mellifuo, e lo sguardo acquoso e sfuggente, con la sua faccia stralunata, caratterizzata dai suoi famosi grandi occhi sporgenti, Lorre fu il prototipo del paranoico, del criminale, del traditore, dell’essere squallido ed meschino, ed è stato una delle più importanti e conosciute icone del noir, capace di interpretare alla perfezione la duplicità malvagia dell’animo umano.
Figura leggendaria, quasi mitologica della filmografia nera anni '40, Lorre fu un personaggio carismatico di un certo modo di intendere il cinema del terrore: non propriamente horror ma basato su suggestioni e atmosfere senza dubbio inquietanti.
Divenne una star pur essendo basso, curvo, dalla voce stridula, dal viso sferico, dall’espressione allucinata, connotata da quegli strani occhi grandi e sporgenti che sapevano trasmettere sia infantile innocenza che sinistra e subdola minaccia.
Lorre riusciva caratterizzare i più spregevoli villains dandogli però sempre uno spessore unico, realistico, creando un’empatia con lo spettatore che, alla fine, non poteva che parteggiare per lui. 
Prima di lui i cattivi erano “solo” cattivi, erano la personificazione del male: grazie a Lorre i villain hanno acquistato spessore umano, realistico, sono diventate figure a loro modo tragiche, con cui ci si poteva perfino identificare.
Ma ha avuto un’esistenza grama, il nostro Lorre, piena di sventure ed eventi drammatici.
Non prendeterci per cinici (anche se in realtà un po’ lo siamo…) quando affermiamo che probabilmente questi suoi travagli fisici e psicologici si sono riflessi e hanno reso unica l’intensita con cui si immedesimava nei personaggi più abietti: suscitano pietà i "suoi" cattivi, non rabbia o schifo!
Per raccontare il “male” bisogna conoscerlo...da vicino!

László Löwemonstein (così all’anagrafe) nasce a Ružomberok, in Ungheria, il 26 giugno del 1904. 
Scappato di casa all’età di 15 anni, lavora dapprima in spettacoli viaggianti e successivamente sui palcoscenici di Vienna e di Zurigo, soprattutto in ruoli brechtiani, iniziando la carriera cinematografica nel 1928.
Per tirare avanti e arrotondare, lavora anche in banca. 
Viene notato da Fritz Lang, che gli affida la parte dell’assassino psicopatico nel capolavoro "M - Il mostro di Düsseldorf" (1931), primo film sonoro del regista e primo ritratto realistico di un serial killer. 
Lorre, in questa celeberrima pellicola, si immedesima in modo straordinario, non solo a livello psicologico, ma anche fisico, al protagonista, dando un tono allucinato al delinquente sessuale che adesca le bambine per ucciderle; la sua performance segna un fondamentale punto di raccordo importante tra la recitazione espressionista dell’epoca del muto e l’uso della voce nel cinema sonoro, allora in fase sperimentale.
L’immagine torva, diabolica ma infantile, di questo personaggio diviene una maschera di follia e perversione che Lorre si trova ad indossare lungo tutta la sua carriera, con una varietà di toni che spaziano dal macabro al grottesco.
Essendo di origine ebraica, dopo l’avvento di Hitler, è costretto a lasciare la Germania nel 1933, e lavora dapprima in Francia, poi nel Regno Unito, dove partecipa alla spy-story diretta da Alfred Hitchcock, "L’uomo che sapeva troppo" (1934) sempre mantenendosi fedele al suo personaggio e conferendo un tocco sinistro alla propria interpretazione. 
L’anno seguente ottiene la prima parte da protagonista in “Amore Folle", film hollywoodiano diretto da Karl Freund, un ex direttore della fotografia tedesco: la pellicola è un adattamento cinematografico del romanzo horror di M. Renard "Les mains d’Orlac" (da cui già Robert Wiene nel 1925 aveva tratto un film, "Orlacs Hände").
Il personaggio del sadico chirurgo Gogol, folle d’amore per la moglie di un pianista cui ha trapiantato le mani, che un Lorre completamente calvo interpreta con straziante dolcezza, trasforma l’attore in un’icona del cinema macabro. 
Dopo aver dato vita al delirante studente Raskolnikov nella riduzione cinematografica realizzata da von Sternberg del romanzo "Delitto e castigo" di Dostoevskij, dal titolo "Ho Ucciso" (1935), il nostro Peter torna a girare con Hitchcock per "L’Agente Segreto" (1936), quindi per il regista George Marshall riveste il ruolo del perfido maggiordomo rapitore in "Senza Perdono" (1937). 
Dal 1937 al 1939 interpreta il mitico detective giapponese "Mr. Moto", in una serie di otto film ideata da John P. Marquand. 
Dopo una parte nella commedia sociale “Chi vuole un Milione?" (1939), di Walter Lang, e un’apparizione nel film drammatico di Frank Borzage, "L’Isola del Diavolo" (1940), con Clark Gable, Lorre giunge all’apice della carriera interpretando il diabolico bandito ungherese sfigurato de "L’uomo dalla maschera" (1941) di Robert Florey e soprattutto il ruolo che lo rende notissimo al pubblico mondiale, quello del frivolo ed effeminato Joel Cairo nel noir "Il mistero del falco" (1941), tratto dal libro di Hammett, che segna anche il folgorante esordio alla regia di John Huston. 
Le sue peculiari caratteristiche rendono indimenticabile anche il personaggio del trafficante Ugarte nel leggendario "Casablanca" (1942), di Michael Curtiz. 
Dopo alcuni film di propaganda antinazista come "Sesta Colonna" (1942) di Vincent Sherman, con Humphrey Bogart, "Le Spie" (1943) di Raoul Walsh, con George Raft, e "La Croce di Lorena" (1943) di Tay Garnett, Lorre ha una fortunata parentesi leggera con il ruolo del Dottor Einstein nel grottesco "Arsenico e vecchi merletti" (1944), di Frank Capra, una delle migliori commedie nere del cinema americano.
Lorre forma una coppia ben assortita con il comprimario Sydney Greenstreet, tanto che i due successivamente lavorano insieme in altri sette film.
Quanto Greenstreet è massiccio, freddo e soavemente crudele, tanto Lorre è minuto, nervoso e petulante, con i suoi occhi sporgenti e la sua acuta voce nasale. 
Un’altra proficua collaborazione è quella con il regista Jean Negulesco, che sfrutta l’accoppiata con Greenstreet nel film di guerra "I cospiratori" (1944) e in "La maschera di Dimitrios" (1944), tratto da un romanzo di E. Ambler, dove Lorre è uno scrittore di gialli che indaga sul passato di un assassino. 
Con Sidney Greenstreet dà vita a una coppia grottesca e indimenticabile in "L’idolo cinese" (1946) di Negulesco e contribuisce al bell’esordio di Don Siegel, "La morte viene da Scotland Yard" (1946), un acido noir non privo di humour, ambientato a Londra.
Giunto all’apice della notorietà, partecipa ad autoironiche parodie dello stesso genere, come "La mia brunetta preferita" (1947) di Elliot Nugent, o al singolare, eroticamente allusivo, film d’avventura “La corda di sabbia” (1949), di William Dieterle, con Burt Lancaster.
Dopo un passaggio in Inghilterra, dove gira con Ken Annakin nel 1950 il noir "Double confession" (1950), torna in Germania, dove scrive, dirige e interpreta un film complesso e coraggioso, "Der Verlorene" (1951): il suo Dottor Rothe, vittima della follia collettiva del regime nazista in disfacimento, coinvolto negli esperimenti biologici e, come Otello, assassino della fidanzata per colpa di una diffamazione, è un tentativo (forse prematuro) di affrontare con toni espressionisti l’analisi di un incubo storico ancora troppo vivo per la Germania.
L’insuccesso del film pone fine alle velleità registiche del nostro Peter (che aveva anche progettato un "Macbeth" ambientato nella Germania contemporanea).
Torna così a recitare con Huston in "Il tesoro dell’Africa" (1953), ma non riesce più a imporsi come protagonista, anche perché il genere di cui era stato una delle icone, il noir, volge ormai al tramonto. 
Fatta eccezione per qualche parte "nera", in film fuori tempo massimo come "Congo" (1956) di Joseph Pevney, Lorre, precocemente invecchiato, imbolsito e senza più il suo particolare carisma, viene utilizzato per lo più come caratterista in parti comiche: nel musical di Rouben Mamoulian "La bella di Mosca" (1955), nel ciclo tratto da Jules Verne che include "20.000 leghe sotto i mari" (1954), di Richard Fleischer, e in "Cinque settimane in pallone" (1962) di Irwin Allen. 
Fin dall’epoca della lavorazione della serie “Mr. Moto”, Lorre aveva iniziato a soffrire di dolorose coliche alla cistifellea, che per il resto della vita gli causano insopportabili sofferenze e stati d’ansia, con conseguenti gravi problemi sul lavoro. 
Per alleviare il dolore, i medici gli prescrivono massicce dosi di morfina e l’attore sviluppa ben presto una tossicodipendenza al medicinale. 
Negli ultimi anni della carriera, sempre più schiavo dell’oppiaceo, Lorre deve accettare ruoli anche insulsi e ridicoli, pur di sopravvivere nello show-business.
L’ultima fase della carriera vede Lorre come un sopravvissuto della vecchia Hollywood "macabra" prendere parte insieme a Vincent Price alle parodie che il produttore e regista di film a basso costo Roger Corman trae dai racconti di E.A. Poe, "I racconti del terrore" (1962) e "I maghi del terrore" (1963). 
Insieme a "Il clan del terrore" (1964) di Jacques Tourneur, formano quasi una trilogia nella quale entrambi i registi si divertono a dissacrare i cliché del genere horror e danno modo all’attore ungherese di dimostrare una volta di più il suo talento comico: un ironico ma evidente viale del tramonto, che Lorre affronta facendo sempre più abuso di alcol e stupefacenti, e minando velocemente la sua salute. 
Memorabile, cinica e abietta è anche l’interpretazione che Lorre fornisce nell’episodio "L’Uomo del Sud" (1960), per la serie "Alfred Hitchcock presenta", accanto a Steve McQueen. 
Il ruolo del gonfio e viscido Carlos lo scommettitore, è uno degli ultimi ruoli magistrali di Lorre, un interprete ormai relegato in parti secondarie da caratterista. 
Dopo il ruolo brillante dell’attore in "Jerry 8 e 3/4" (1964) diretto da Jerry Lewis, mentre gira con William Asher la commedia "Bikini beach" (1964), Lorre muore in seguito a crisi cardiaca. 
Triste destino per Peter Lorre: troppo rospo per essere un principe, troppo principe per essere un rospo…
Onore a Peter Lorre!

Nota a margine: Il noto episodio di Quentin Tarantino di "Four Rooms", "L’uomo di Hollywood", è un vero e proprio omaggio/remake de "L’uomo del Sud", la succitata puntata della serie tv "Alfred Hitchcock presenta" del 1960. In realtà però Tarantino si è basato sul rifacimento del 1985 con John Huston e Kim Novak. La storia è tratta dal racconto "La scommessa" di Roald Dahl, pubblicata nella raccolta "Someone Like You" del 1953.

“Ma chi sei tu? Cosa dici? Chi sei tu che vuoi giudicarmi? E chi siete voi? Un branco di assassini, di malviventi… Ma chi credete di essere, solo perché sapete come si fa… a scassinare una cassaforte, o ad arrampicarsi sui muri, sui tetti? Sapete fare solo questo. E niente altro. Non avete mai lavorato, in vita vostra! Non avete mai imparato un lavoro onesto. Siete un branco di maiali. Non siete altro che un branco di maiali! Ma io, io che posso fare? Che altro posso fare? Non ho forse questa maledizione, in me? Questo fuoco, questa voce, questa pena!”
Hans Beckert/Peter Lorre – M Il Mostro di Düsseldolf

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