3 gennaio 
L'ALMANACCO PULP dei Mutzhi Mambo 
Felici, orgogliosi, goduti, fieri, grati, sublimati, gratificati, appagati: questi e altri di questo tenore, cari amici dei Mutzhi Mambo, sono i nostri sentimenti di fronte all'onore e all'onere di celebrare oggi il Maestro dei Maestri, il mistico SERGIO LEONE, uno dei più grandi registi di sempre! Innovatore e manierista, profondo e avvincente, brutale e raffinato, Leone è la quintessenza del cinema d'avventura e sicuramente fra i tre o quattro registi italiani più fondamentali e stimati. Peccato solo che la sua produzione sia stata così esigua perché noi, i suoi film, non ci stancheremo mai di guardarli e riguardarli. Sergio Leone nacque a Roma il 3 gennaio del 1929, figlio di Roberto Roberti (nome d'arte di Vincenzo Leone), un regista ed attore originario della provincia di Avellino, considerato uno dei pionieri del cinema muto italiano, e di Bice Waleran, un'attrice romana, nata da una famiglia milanese di remote origini austriache. Leone iniziò a lavorare nell'ambiente cinematografico già all'età di diciotto anni. Ebbe infatti una piccola parte, come comparsa, in "Ladri di biciclette" di Vittorio De Sica (è uno dei preti tedeschi sorpresi dalla pioggia). Successivamente, Leone inizierà ad interessarsi del genere peplum, detto anche "sandaloni", e i primi lavori di un certo rilievo lo videro come assistente regista o direttore della seconda unità (non accreditato) in alcune produzioni hollywoodiane di grande importanza, girate agli studi di Cinecittà a Roma, nel periodo della cosiddetta Hollywood sul Tevere, tra cui "Quo vadis?" di Mervyn LeRoy (1951) e soprattutto il colossal "Ben-Hur" di William Wyler (1959). Nel 1959 subentra a Mario Bonnard, colpito da una malattia che lo costrinse ad abbandonare il set, alla regia di "Gli ultimi giorni di Pompei", al quale aveva collaborato alla sceneggiatura. Tuttavia i titoli di apertura del film non riportano il suo nome ma solo quello di Bonnard. Come risultato, quando finalmente ebbe la possibilità di debuttare da solo come regista con "Il colosso di Rodi" (1961), grazie alla lunga esperienza, Leone riuscì a produrre il film a un basso budget ma che sembrasse spettacolare quanto un vero e proprio kolossal di Hollywood. La pellicola non fu un grande successo e così venne retrocesso a assistente regista collaborando con Giorgio Bianchi alla realizzazione di alcune scene del film "Il cambio della guardia" (1962), con la coppia Fernandel-Cervi, e con l'americano Robert Aldrich come direttore della seconda unità di ripresa di "Sodoma e Gomorra" (1962), ma storici furono i malintesi, i litigi e le incomprensioni fra i due. Molto meglio andò accanto a Damiano Damiani per "Un genio, due compari, un pollo" (1965) con Klaus Kinski. Nonostante ciò qualcuno punta su di lui per un nuovo peplum (che non sarà mai realizzato) dal titolo "Le aquile di Roma". Peccato che a lui non interessi, dato che le sue intenzioni sono quelle di passare ai western. Nei primi anni sessanta infatti la richiesta di peplum si era esaurita, e Leone fu fortunato a essere tra i primi pionieri del genere che prese il loro posto nelle preferenze del largo pubblico: il western, dando anzi vita a un proprio importante sottogenere di matrice italiana, noto con il nome di spaghetti-western, il cui modello di stile divenne il primo film del genere del regista: "Per un pugno di dollari" del 1964, uno dei più famosi della storia del genere. Il film ricalca in gran parte la trama de "La sfida del samurai" (1961) di Akira Kurosawa. Infatti Leone fu accusato di vero e proprio plagio da Kurosawa, che vinse la causa ottenendo come risarcimento i diritti esclusivi di distribuzione di "Per un pugno di dollari" in Giappone, Corea del Sud e Taiwan, nonché il 15% dello sfruttamento commerciale in tutto il mondo (quindi all'Akira gli andò mooolto bene). Il remake italiano, anche grazie alle leggendarie interpretazioni di Clint Eastwood e Gian Maria Volontè, al lavoro di Tonino Delli Colli alla fotografia e all'immensa colonna sonora di Ennio Morricone, fece rivivere l'epoca d'oro di questo genere che aveva avuto successo tra gli anni trenta e cinquanta. Inoltre, con questo film, Leone introdusse quelle che sono le principali caratteristiche del suo cinema: l'uso della soggettiva, l'alternanza in fase di montaggio di sequenze con campi molto lunghi e brevi flash di primissimi piani, la cura coreografica nella rappresentazione della violenza estrema, il concepire le scene già con l'accompagnamento della colonna sonora ma soprattutto l'uso innovativo del silenzio, creato fra parentesi di musiche incalzanti e piene di suspense. E pensare che, quando vide Clint Eastwood, al regista capitolino quasi venne una sincope. Ma come, lui aveva chiesto il divo Henry Fonda e la produzione gli manda questo sconosciuto giovanottone serio e inespressivo? Ma per fortuna fece di necessità virtù: gli ficcò un mezzo sigaro toscano in bocca (a lui che non fumava neanche le paglie!), gli mise addosso un vecchio poncho e da lì è nata la leggenda! Dopo l'inaspettato quanto straordinario successo di "Per un pugno di dollari", Leone entrò in una paralisi creativa dovuta alla consapevolezza che ottenere nuovamente un exploit simile sarebbe stato quasi impossibile. Per ovviare a questo inconveniente, il regista cercò di intraprendere strade differenti dal genere western, come il genere thriller e l'autobiografico. Abbandonati questi progetti, Leone decise di puntare nuovamente sul genere che aveva fatto la sua fortuna e, ottenuto un produttore disposto a finanziare anche i suoi capricci, ebbe fretta d'iniziare il progetto vero e proprio: si tenne dunque una prima riunione, tra Sergio Leone, Duccio Tessari e Fernando Di Leo, per decidere il soggetto del film. La storia che si stava delineando era quella di due cacciatori di taglie, uno giovane e uno anziano, che si alleano per catturare un bandito. Successivamente, Tessari uscì dal progetto, e Di Leo terminò la prima stesura con l'aiuto di Enzo Dell'Aquila. I due proposero a Grimaldi un soggetto intitolato "Il cacciatore di taglie", pensando di farsi un nome grazie al nuovo film di Leone. Il regista rimase colpito dal soggetto, e chiese a Grimaldi di comprarlo a patto che i nomi di Dell'Aquila e Di Leo non apparissero. Il ruolo del cacciatore di taglie era, ovviamente, pensato fin dal principio per Eastwood mentre per il Colonnello Douglas Mortimer venne scelto un attore in ritiro, Lee Van Cleef, dopo i rifiuti del solito Henry Fonda e di Lee Marvin. Il cattivo messicano venne di nuovo interpretato dall'immenso Volontè: nasce così il secondo capitolo della "trilogia del dollaro", il fantastico "Per qualche dollaro in più" (1964). Inutile dire che anche questo ebbe un successo esorbitante che spianò la strada al terzo capitolo. Il regista, per sfuggire ancora una volta al rischio di ripetersi, aumentò di nuovo il numero dei protagonisti, da due a tre, collocando la trama nel contesto storico della guerra di secessione americana. Il titolo "Il Buono, il Brutto, il Cattivo", nato per caso, rispecchia appieno il pensiero di Leone che voleva abbandonare il classico manicheismo dei film americani, presentando personaggi ambigui e, in una dichiarata denuncia della follia della guerra, demistificando la storia stessa degli Stati Uniti d'America, mostrandone il lato violento e brutale, appannato dalla tradizione mitizzante dell'epopea western. Leone ripropose il cliché dell'uomo senza nome interpretato da Clint Eastwood, ma lo rese più ambiguo, a metà strada tra il cacciatore di taglie e il bandito. Affiancarono Eastwood, nella parte dei protagonisti, Lee Van Cleef (anch'egli reduce da "Per qualche dollaro in più", qui però in un ruolo molto diverso da vero e proprio villain) ed Eli Wallach che spicca su tutti col personaggio di Tuco, soprattutto perché approfondito nel suo vissuto e nella sua dimensione interiore, e perché dotato di un lato umoristico che mette in luce il talento comico di Wallach. Oltre alla sceneggiatura di ferro, che fa passare in un baleno la lunghezza monstre del film, classica dei classici è la scena del cosiddetto "triello" (uno stallo alla messicana) nel finale del film che è rimasta esemplare sia per la ripresa, sia per il montaggio, sia per l'uso sapiente della colonna sonora di Ennio Morricone, che la sottolinea in modo esclusivo, aggiungendovi tensione e potenza evocativa. Il film all'inizio divise la critica, ma fu un enorme successo di pubblico. La sua popolarità perdura inalterata e l'ha reso ormai un classico citatissimo nel cinema, nella musica e nei fumetti. Basandosi su questi successi, nel 1967 Leone dirige quello che nelle intenzioni avrebbe dovuto essere il suo ultimo western (anzi non voleva fare manco questo): "C'era una volta il West". Girato negli scenari della Monument Valley, in Italia e in Spagna, il film risultò come una lunga, violenta e quasi "onirica" meditazione sulla mitologia del West. Al soggetto collaborarono anche due altri grandi registi, Bernardo Bertolucci e Dario Argento; quest'ultimo, all'epoca, ancora quasi completamente sconosciuto. La sceneggiatura fu invece scritta da Sergio Donati, insieme a Leone. In realta il regista romano accettò di girarlo quando la Paramount Pictures gli offrì un budget generoso mettendo sul piatto pure Henry Fonda, il suo attore preferito, e uno con cui aveva voluto lavorare per quasi tutta la sua carriera. Era una delle prime volte in un film western dove il cattivo sarebbe stato interpretato dall'attore principale. Leone inizialmente offrì il ruolo di Armonica a Clint Eastwood; quando egli rifiutò, Leone assunse Charles Bronson, che a sua volta aveva rifiutato la parte dell'uomo senza nome in "Per un pugno di dollari" (anche James Coburn fu avvicinato per Armonica, ma chiese troppi soldi...). Nel ruolo della ex prostituta Jill McBain risplende la meravigliosa Claudia Cardinale, mai così bella e sensuale. Prima dell'uscita nelle sale, tuttavia, il film fu ritoccato e modificato dai responsabili dello studio; infatti fecero uscire una versione più accorciata di circa 165 minuti e fu un mezzo fiasco. La pellicola è stata riscoperta e rivalutata solo anni dopo, con il montaggio del regista che dura complessivamente circa 175 minuti, e ora è giustamente considerata come un capolavoro. Il successivo "Giù la testa" del 1971 è ambientato nel Messico del 1913, con protagonisti Rod Steiger, James Coburn e Romolo Valli. È il secondo film della cosiddetta trilogia del tempo, preceduto da "C'era una volta il West" e seguito da "C'era una volta in America" ed è ambientato nel Messico del 1913, durante la rivoluzione. Si doveva intitolare "Giù la testa, coglione!" ed è il film più "politico" di Leone: vi vengono citati Francisco Indalecio Madero, Pancho Villa, Emiliano Zapata e Victoriano Huerta. Le vicende sono da collocare nel periodo seguente l'assassinio di Madero da parte di Huerta, nel corso del tentativo della guerriglia, guidata da Villa e Zapata, di uccidere il nuovo dittatore. Il film inizialmente doveva essere diretto da Sam Peckinpah, per la ferma volontà del regista romano di fermarsi col western e di potersi dedicare a quello che da tempo sognava di realizzare, cioè "C'era una volta in America", ma furono i due attori protagonisti Coburn e Steiger a rifiutare Peckinpah; i due accettarono di recitare a cachet ridotto solo a patto che a dirigere fosse lo stesso Leone. Il ruolo di Juan Miranda era stato inizialmente pensato per Eli Wallach, ma la produzione americana impose invece Rod Steiger, forte della recente vittoria dell'Oscar al miglior attore per La calda notte dell'ispettore Tibbs. Tale decisione lasciò sempre fortemente indispettito Wallach, malgrado le scuse del regista romano. Invece per la parte di John H. "Sean" Mallory venne inizialmente preso in considerazione John Wayne, successivamente scartato da Leone, sia perché ritenuto non adatto alla parte, sia perché si riteneva che un nome tanto altisonante nel cast avrebbe potuto spostare eccessivamente l'attenzione sul personaggio di Mallory. Leone successivamente non rimase completamente inattivo: scrisse varie sceneggiature e soprattutto diresse — per sua stessa ammissione — varie sequenze del film di Tonino Valerii "Il mio nome è Nessuno" con Terence Hill e Henry Fonda ma, si fece accreditare solo come produttore esecutivo e soggettista. Collaborò inoltre, nello stesso periodo, con il regista Damiano Damiani nella pellicola "Un genio, due compari, un pollo", girandone le scene iniziali e diventandone assieme a Claudio Mancini il produttore esecutivo. Anche durante la lavorazione di questo film, il nome di Sergio Leone non fu accreditato nei titoli di apertura. Successivamente con la sua casa di produzione Rafran produsse anche "Il gatto" (1977) di Luigi Comencini e "Il giocattolo" (1979) di Giuliano Montaldo. Dopo aver rifiutato un'offerta per dirigere "Il padrino" (ed era un offerta che non si poteva rifiutare...), Leone produsse due film di Carlo Verdone: "Un sacco bello" (1980) e "Bianco, rosso e Verdone" (1981). Infatti il regista era molto amico del padre di Carlo: Mario Verdone, noto critico romano di cinema, e come un padre Leone aiutò Carlo nella realizzazione dei suoi primi due film, consigliandolo nelle scelte di regista. Certo, dal Padrino a Verdone (con tutto il rispetto...). Dalla seconda metà degli anni sessanta fino agli anni ottanta Sergio Leone aveva incessantemente lavorato a un proprio progetto epico, questa volta incentrato sull'amicizia di due gangster ebrei a New York: "C'era una volta in America" (1984): era un'idea nata prima ancora di "C'era una volta il West". La trama definitiva venne in mente al regista solo alla metà degli anni settanta, quando lesse il romanzo "The Hoods" di Harry Grey. Il romanzo era stato firmato dall'autore con uno pseudonimo per poter nascondere la sua identità visto che si trattava dell'autobiografia di un vero gangster negli anni del proibizionismo che si chiamava proprio David Aaronson. Leone rimase molto colpito dal libro e scelse di trarne ispirazione per il suo film, arrivando a definire quella come la trama che andava cercando oramai da un decennio. Il film tuttavia lascia spazio a un finale aperto, e si presta a diverse interpretazioni. L'alto significato allegorico, la perfezione tecnica, l'atmosfera e il suo modo di trattare le più grandi emozioni come amicizia, amore e malinconia lo rendono unico e inarrivabile. Il film ebbe grande successo di pubblico e critica in tutto il mondo, tranne che negli USA in cui fu proposta dalla produzione una versione ridotta nella durata (140 minuti anziché 220) e sconvolta nella struttura temporale. Il rimontaggio dell'opera causò dunque un flop sul mercato americano. Col passare del tempo il film è stato definito da una maggioranza sempre più ampia "un capolavoro assoluto", uno dei migliori lavori cinematografici del secolo. Nel 1986 Sergio Leone si ritrovò di nuovo a lavorare con l'amico Carlo Verdone, questa volta nella realizzazione del film "Troppo forte" con Verdone, Mario Brega e Alberto Sordi protagonisti. Leone ne scrisse il soggetto e la sceneggiatura assieme a Verdone e a Rodolfo Sonego. Quando morì il il 30 aprile del 1989 per un attacco di cuore a 60 anni, il regista era al lavoro su un progetto che avrebbe dovuto riguardare l'Assedio di Leningrado durante la Seconda guerra mondiale. Il Maestro dei Maestri, il Michelangelo del Western, ci ha lasciato con un vuoto che nessuno, e sottolineiamo nessuno, potrà mai colmare. Buon compleanno Sergio!

Permetteteci di omaggiare il Maestro con un pezzo nostro, tratto da "Veniamo per te", a lui espressamente dedicato:

"Un caldo infernale, mi fa male la ferita,
Sono anni che ti cerco, la mia canna è ben pulita.
Caro Biondo sto arrivando, devo fare pulizia
Scappa pure se ti pare, la mia ossessione è ormai follia!
Ho un cavallo bianco, decorato di scalpi 
Un sorriso scuro, sapore di brandy
Un colpo solo mi ha reso impotente
Ora ho un gusto solo: le morti violente!
Ero un grande Latin lover, tanta polvere ho mangiato
La pistola ha fatto fuoco contro l'Indio e il ricercato
Ché da quando mi hai evirato, fuggendo dalla banca,
Non c'è pace nei miei giorni, non ti lascio farla franca!
Ho un cavallo bianco, decorato di scalpi 
Un sorriso scuro, sapore di brandy
Un colpo solo mi ha reso impotente
Ora ho un gusto solo: le morti violente!
Sto cercando la vendetta, uno solo vivo ne uscirà!
Caro Biondo sto arrivando, devo fare pulizia
Scappa pure se ti pare, la mia ossessione è ormai follia!
Ho un cavallo bianco, decorato di scalpi 
Un sorriso scuro, sapore di brandy
Un colpo solo mi ha reso impotente
Ora ho un gusto solo: le morti violente!
Biondo, ti voglio morto!"
Mutzhi Mambo - Biondo

Sergio Leone